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Pensieri di un pomeriggio di Ottobre

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Vorrei raccontarvi una fiaba. Io adoro le fiabe, ve ne sarete già accorti credo. Parlo a chi frequenta il blog ideato da me e Giada, con due modalità totalmente differenti. Non solo per la diversità delle nostre professioni -lei biologa nutrizionista, io psicologa clinica- ma per la diversità caratteriale. Ugualmente sensibili e attente all'altro, questo assolutamente sì, ma lei forse un po' più realistica. Poi ci sono io, che riesco a esercitare la mia realtà solo se rivestita di quella parte fiabesca che abita in me e che non riesco a sradicare. Mi sono chiesta tanti "perché", milioni di volte. E mi sono data tante risposte, altrettanti milioni di volte. Che ero una bambina estremamente delicata di salute per quelle violente bronchiti che mi stringevano il petto fino a togliermi il respiro, facendomi credere che me lo avrebbe tolto per sempre quel respiro. Questo dai 9 mesi ai 13 anni. Con febbroni che mi costringevano a trascorrere buona parte dell'inverno a le

Un consiglio attraverso Aurora

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Si potrebbe iniziare, come ogni fiaba che si rispetti, con le parole "c'era una volta". Ma questa non è una fiaba. È una storia. Una storia dei nostri giorni. Una storia anche di giorni passati. Una storia, forse, anche di giorni futuri. Una storia che si perde nella notte dei tempi, e che forse rileggeremo anche nelle notti dei tempi a venire. È la storia di Aurora. Aurora che aveva in sé, dentro di sé, i colori luminosi del sole che sorge. I gialli dorati. Quelli ancora tenui, ma con una luce quasi abbagliante in quel chiarore. E quei rosa teneri, così delicati, quando il sole li deve ancora rafforzare, essendo solo l'inizio del giorno. Aurora che aveva quella sua mente che correva veloce più del vento, dove i pensieri, le idee, le immagini, i sogni, le fantasie, i progetti, le speranze, tutto ciò che una mente può produrre insomma, tutto questo si rincorreva a velocità della luce, in un accavallarsi di voglia e desiderio di vita, di sensazioni, ed emozioni che sent

Eva continua il racconto della sua anoressia

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  Nota: Ho suddiviso la storia del percorso anoressico di Eva in due parti perché troppo lungo in una unica soluzione. Questa è la seconda parte, ma è estrapolata dall'intero racconto, per questo necessita anche della lettura della prima parte -già pubblicata in precedenza- in cui Eva (nome d'invenzione per motivi di privacy) spiega in maniera precisa, profonda, dettagliata, emozionante, il come e il perché sia arrivata alla malattia. Posso dire che ora Eva (che io seguii durante tutto il suo ricovero in ospedale) sta bene, non è mai più ricaduta nella patologia, è una donna ora adulta, e da allora (era il 1997 e io facevo tirocinio all'interno dell'ospedale) siamo ancora in contatto, siamo rimaste molto legate, e appena può mi viene a trovare a Bologna. .............................. .................. Seconda Parte Avevo i soliti problemi di tutte le ragazze: la scuola che mi andava sempre più stretta, i rapporti con i ragazzi, organizzarsi il sabato sera con gli amic

A proposito di Pisantrofobia (paura a fidarsi delle persone. Insorge quando una o più esperienze negative lasciano un'impronta a livello emotivo su chi ne ha sofferto) - Storia di una persona Vera.

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Era stanca Vera. Così incredibilmente e maledettamente stanca che si chiedeva dove riuscisse a recuperare ancora le energie per andare avanti. Vera era una ... era ... oddio, cos'era lei? Non sapeva definirsi, perché non sapeva dove collocarsi. Bambina... ragazza...giovane donna...cosa?! Non era più una bambina, questo era certo, e non era neppure un'adolescente. Una giovane donna... sì, ecco come poteva definirsi: una giovane donna. Eppure c'era qualcosa che non quadrava in lei. Il suo "dentro" non corrispondeva a niente: a nessuna fascia di età, né ad alcuna dimensione di luogo e di tempo. Era diversa lei. Diversa, certo. Ma cosa significava esattamente essere DIVERSA?! Non lo sapeva. Non sapeva definire in che modo e perché lo fosse, ma una cosa la sapeva: non riusciva a riconoscersi negli altri. Né gli altri in lei. Non aveva problemi ad entrare in sintonia, tutt'altro: la sua capacità di relazionarsi ed empatizzare era immediata, quasi magica, aveva tempi

A proposito di DOC (Disturbo Ossessivo Compulsivo) - Robby e la libertà conquistata

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Era un ragazzino sveglio Robby. Carino, gli occhi vispi e curiosi, di un bel castano scuro che spiccavano sotto il ciuffo di capelli biondi. Il viso roseo e un sorriso accattivante, sempre pronto ad aprirsi agli altri. Aveva 17 anni, il fisico temprato da quelle passeggiate nella natura che spesso diventavano arrampicate più impegnative, quando la strada si inoltrava in salite ripide per raggiungere certe vette che si affacciavano su panorami mozzafiato. Era bellissimo quel sentiero che divideva le due vallate. Il cielo di un fantastico azzurro era terso, nitido, privo di nubi, tanto da sembrare frutto del pennello di un grande pittore, come certi colori a spatola di Van Gogh, o quelli più tenui e delicati di Chagall. O forse no. No, certo che no: la Natura è l'artista più eccelso, niente e nessuno può eguagliarla! Robby si guardava intorno, e il cuore e gli occhi si spalancavano di fronte a tanta meraviglia. Conosceva bene quel sentiero tra il verde e l'azzurro. Tra le valli e

Peter l'Egoista - Interpretazione

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Per analizzare le caratteristiche di "superficialità e Immaturità", ho rivisitato la fiaba di "Peter Pan e l'Isola Che Non C'è", partendo dai personaggi principali, e cioè Peter e Trilli. Facciamo una doverosa chiarezza tra la superficialità e l'immaturità che oggi più che mai caratterizza tanti adulti, e quella che è invece il segnale di una vera e propria patologia. La sindrome di Peter Pan, scientificamente chiamata "neotemia psichica", è quella situazione in cui una persona adulta si rifiuta di crescere, perché diventare adulti significa accettare di assumersi responsabilità. Si rifiuta di "stare" e quindi di operare nel mondo degli adulti, ostinandosi a rimanere fermi in quello dell'adolescenza. Peter simboleggia la spensieratezza e il disimpegno più totale. "l'Isola che non c'è" diventa così un luogo non luogo, la metafora di un mondo ideale che si contrappone alle difficoltà della quotidianità del mondo re

Superficialità e immaturità - Peter l'Egoista.

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  Trilli sì guardò intorno: era sola. "Frullò" rapida le sue belle ali trasparenti dai riflessi dorati per guardare ovunque intorno. "Frullare" le ali, per chi non conoscesse le abitudini delle Fate di piccolissime proporzioni, significa ruotarle su se stesse con un movimento appunto rotatorio, ma rapidissimo. Creando così un piccolo vortice. Questo permette loro di rimanere ferme, come sospese nell'aria, ma con la possibilità di vedere ovunque, guardare girandosi intorno a 360 gradi. Inoltre, una vista acutissima permette loro di scrutare ogni cosa, anche la più lontana, senza i limiti che hanno gli Umani che, al massimo, arrivano a sfiorare con gli occhi solo quella linea che si chiama orizzonte. Linea che viene percepita sempre un po' sfocata e approssimativa, e che sembra dividere la terra dal cielo. Trilli no, non tralasciava niente al suo sguardo: anche se minuscola era pur sempre una Fata! Sì guardò intorno ancora una volta ma...niente: di Peter nessu