Solitudine e Sindrome Abbandonica: un seme da estirpare
STORIA DI TEA.
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Tea si sentiva sola.
Cosa significa sentirsi soli, si chiedeva Tea.
Ciò che provo io, come si chiama?
Vuoto?
Inconsistenza?
Astrazione?
Astrazione da tutto.
Oppure...oppure assenza forse... ecco, sì: "Assenza"!
Assenza di ciò che aveva provato in passato.
Di ciò che era stata.
Assenza del ricordo di quei momenti /sentimenti che a volte sentiva scorrere nelle vene.
Di quell' entusiasmo quasi euforico e di certe disperazioni invalidanti.
Di quell' intensità di cui era capace. Quasi impregnata, lei, d'intensità.
Come quel sudore che in certe estati umide, feroci di calore, ti ricopre come una veste di velo che ti avvolge e t' imprigiona.
Ma era anche leggerezza.
Già: e contraddizione, sempre.
E verità.
Dentro, ora, era solo "istante".
E quella certezza di apparire a tutti come una ragazza complicata, difficile, aliena.
Quei "Tutti" che non avevano la capacità di andare oltre per capirla.
Anche in Famiglia era così.
Sentiva la Famiglia come "appartenenza", certo.
Ma non come ambito dove essere "capita", quello no, mai.
Meno che con chiunque altro.
A volte capitava di sentirsi vicina come affinità, ma raramente.
E con due soli membri della famiglia.
Con la mamma, ad esempio.
Con la mamma sì.
Ma ripensandoci, dopo tanti anni, era più lei che si adeguava alla mamma a ciò che sapeva desiderava sentirsi dire.
Era più questo, sì: ora che era cresciuta si rendeva conto che il suo desiderio di vedere la mamma felice era così forte da non accorgersi di uniformarsi a lei, di adeguarsi a come lei voleva vederla.
Che era lei -Tea- a capire la mamma al punto tale da prevenire e prevedere tutto ciò che la mamma voleva sentirsi dire.
E con la sorella, quella di mezzo, riusciva a parlare.
Ma quella brutta malattia se l'era portata via, senza pietà.
Poi il Tempo.
Il grande Mago, quello che trasforma i trucchi in realtà, continua il suo cammino.
Va oltre.
E passa.
Era cresciuta Tea.
E si era ribellata.
O meglio, voleva affermare se stessa.
Semplicemente.
Solo questo.
Tutto qui.
Voleva essere le infinite cose che sentiva e sapeva di essere.
Che sentiva premere in sé.
Voleva sperimentare e sperimentarsi.
Voleva una conferma per sé stessa.
La conferma di non essere un bleff.
Un inganno a se stessa.
Lei, "Ricercatrice del Comprendere".
Con quell'ansia di capire. Sempre.
In modo quasi ossessivo.
Con quel continuo farsi domande.
Anche se le risposte erano difficili, a volte impossibili.
Sentiva premere tutte quelle domande, quella curiosità, quegli interessi, quella fame di tutto...di ogni cosa.
mio Dio, come faceva a soddisfare tutta quella fame?!
Quella fame che sentiva divorarla dentro fino a svuotarla.
Nella testa, nel cuore, nella pancia, nelle ossa, nei muscoli, nella pelle!
Ma c'erano gli altri.
Gli altri prima di tutto.
E quella fame non riusciva ad essere riempita, o almeno attenuata.
La mamma, il papà, le sorelle, gli amici, i conoscenti, i compagni ... tanti...troppi: e tutti chiedevano qualcosa!
È così quando metti gli altri al primo posto, e tu dopo gli altri.
Tutti davanti, e tu dietro a tutti!
Era questo.
E la colpa era la sua, non di chi chiede se tu dai sempre!
Amava viaggiare Tea.
E leggere, e scrivere, e dipingere.
E poi andare al cinema, e ancora di più a teatro.
Caspita quanto amava il teatro!
Era andata anche a Scuola di Teatro.
Si ricordava un brano di un testo teatrale che diceva così:
"...io mi cucirò neri calzoni col velluto della mia voce!..."
Mio Dio quante volte glielo aveva fatto ripetere, quel pezzo, l'attore che dirigeva quel Teatro!
E poi aveva partecipato anche a un corso di sceneggiatura.
Ma più di tutto amava le mostre d'arte!
Aveva decine di cataloghi di famosissimi pittori.
Mostre viste durante i suoi viaggi, in tante città, in Stati diversi.
E tutto questo cercava di infilarlo dentro alla sua professione di psicologa, per arricchirla quella professione, per renderla più "viva", e vera.
E piena di passione.
E voglia di trasmetterla ai suoi pazienti, quella sua passione.
I suoi pazienti erano ragazzi e ragazze.
Tutti giovani, per la fascia di età che aveva scelto di seguire.
Perché i giovani hanno quella "fame" che lei non aveva perso.
E se, per disagi della mente, loro l'avevano perduta, ecco: lei erai lì!
Era lì per loro.
Per fare ritrovare quella fame!
Ma ora si sentiva sola Tea.
Quella solitudine che sentiva da sempre.
Che cercava conferme del contrario: cioè che in realtà non era sola.
Che anzi, era la più amata in famiglia.
Perché lei era la più piccolina.
La terza di tre sorelle tanto più grandi di lei.
Voleva conferme che colmassero quel senso di solitudine sempre acquattato in lei.
Le veniva in mente di quella volta che era riuscita a infilarsi sotto il grande letto dei genitori.
Un lettone matrimoniale sotto il quale lei, minuta come una silfide, riusciva a infilarsi.
Per poi sparire, come inghiottita da un buco nero.
E restava lì, con il respiro trattenuto, affaticato perché non si respirava bene sotto quel lettone.
Aspettava di sentire qualcuno dire: "avete visto dov'è finita Tea?
La sto cercando e non la vedo! L'avete vista?"
Ma poi, ognuno impegnato in ciò che stava facendo, non si accorgevano della sua "sparizione".
Allora usciva da sotto quel lettone.
Delusa.
E ancora più triste.
Con quel senso di solitudine ancora più forte, più "dentro", spinto giù, in fondo in fondo, ma ben ancorato.
Ora però era cresciuta.
Non c'erano più i genitori.
Non c'era il loro lettone sotto il quale sparire come dentro un buco nero.
Aveva la sua Famiglia.
La sua professione che amava.
I suoi giovani pazienti che le manifestavano il loro affetto.
Soprattutto la loro Fiducia.
Sempre stupiti della sua capacità di unire ascolto e insegnamento di valori importanti.
Senza mai presunzione, né giudizio, o un linguaggio troppo tecnico.
Attraverso fiabe sì però.
E racconti.
Ascolto e sorrisi.
Tea non amava questa società gestita dalla tecnologia.
Detestava quei social che avevano tolto la capacità di comunicare guardandosi negli occhi, e toccarsi.
Comunicare e confrontarsi di persona, e non attraverso uno schermo.
E i cellulari, spie della falsità.
Non capiva chi riceveva un messaggio e non rispondeva.
Senza spiegazioni.
Senza scuse.
Senza coraggio.
Senza rispetto né cuore.
Ricordava quando era piccola e non esistevano cellulari, ma il telefono.
Quelli con la cornetta e quel disco con i buchi con dentro i numeri stampati.
Allora lei infilava il suo dito di bimba in quei buchi di quel disco che girava, per comporre un numero.
Per poi parlare con chi stava cercando.
E tutti rispondevano, chiedendosi chi stesse chiamando.
Ed era bello quando gli amici li conosceva tutti.
Forse non erano migliaia come i "follower", ma esistevano.
Erano fatti di carne, di ossa, e di sangue.
E cuore.
E quegli abbracci, dove il cuore di uno entrava dentro quello dell'altro.
Ora gli amici erano pollici all'insù o all'ingiù, per farti sapere se piace o non piace ciò che hai scritto.
Se accettano o meno "l'amicizia", la tua amicizia, ma dove la "a" di questo bellissimo sentimento, è scritto con la minuscola.
Non ce la faceva Tea.
Non più.
Non si sentiva adatta a questo mondo.
Un mondo dove il virtuale era diventato il reale.
Tea aveva deciso ormai.
Avrebbe ripreso la sua "astronave", alla ricerca di un Mondo Nuovo.
In una dimensione altra.
Dentro un vortice di aria pulita, tersa, pura, che avrebbe tolto tutta la polvere che si era depositata su quell'abito di velo che l' avvolgeva.
E forse, quel vortice, avrebbe disperso nel cosmo quella solitudine, sradicandola per sempre dal suo essere.
Senza più il grande letto dei genitori entro cui sparire.
Senza necessità di conferme d'amore.
Senza Assenze.
PIENA.
Finalmente Piena!
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