Vincent Van Gogh e le sue Notti Stellate - Parte 2
" Questa mattina dalla mia finestra ho guardato a lungo la campagna prima del sorgere del sole, e non c'era che la stella del mattino che sembrava molto
grande."
O ancora:
" Spesso penso che la notte sia più viva e più riccamente colorata del giorno. "
Sono le parole che Vincent scrive al fratello Theo per informarlo del compimento di quella che sarà una delle opere più importanti di Van Gogh e della Storia dell'Arte: "La Notte Stellata".
Sembra che il dipinto sia stato eseguito poco prima dell'alba del 19 giugno 1889, durante l'anno di permanenza nell' ospedale psichiatrico di. Saint-Remy-de-Provence, da dove scrive al fratello:
"attraverso le grate di ferro della finestra riesco a vedere un campo di grano...sul quale, nel mattino, riesco a vedere il sole che sorge in tutto il suo splendore."
Egli lavora a questo dipinto negli ultimi mesi della sua vita quando la sua salute mentale è particolarmente compromessa.
Poco prima di creare il dipinto Vincent scrive al pittore Émile Bernard, e si esprime così:
"Quando farò finalmente questo cielo stellato a cui devo sempre pensare?"
Van Gogh era estremamente attratto dal cielo notturno, l'incantamento che esercitava in lui, con la luna e le sue infinite stelle, era forte.
Questo stato d'animo lo condivise in una lettera al fratello Theo nell'annunciargli la nuova opera:
"Guardare le stelle mi fa sempre sognare, così come lo fanno i puntini neri che rappresentano le città e i villaggi su una cartina."
Non esiste una sola "Notte Stellata" nei dipinti di Vincent, ma diverse versioni, questo proprio per il fascino che il blu cobalto del cielo notturno, mai buio, ma sempre illuminato dalle stelle e dalla luna, gli ispirava.
Forse quei vortici di stelle lo portavano lontano, in una dimensione dove tutto era magico, comprensibile, affine.
"Mi occorre una notte stellata con dei cipressi, o forse, sopra un campo di grano maturo" scriveva ancora al fratello.
Nella versione "Notte Stellata Sul Rodano", si vedono sullo sfondo, tante piccole case di Arles dalle finestre illuminate, perché -come già detto- la luce per Van Gogh era segno di Vita, e quella luce che dipingeva alle finestre delle piccole case, forse gli ispiravano anche calore familiare.
In un articolo su Google, dove viene descritto il dipinto, si legge:
"Undici stelle e una luna a forma di mezzaluna, abbracciate dall'energia cosmica rappresentata da onde al centro del quadro, completano l'insolita invenzione pittorica."
E ancora, sulla simbologia del dipinto:
"In primo luogo l'immagine della morte è legata ai cipressi, il tipico albero dei cimiteri.
Questo albero dalla forma idealizzata che si avvicina ad una fiamma, fa da legame tra la terra e il cielo, tra la dimensione umana e quella ultraterrena, tra la vita e la morte."
Io non sono una critica d'arte né, nelle specifico, una psicologa dell'arte, ho solo letto e visto tanto della vita e delle opere di Van Gogh.
Credo che, in genere, ma in particolare nel caso di una personalità complessa e tormentata come quella di Vincent, capire come vedesse lui la Natura, il passaggio dal giorno alla notte, dal giallo al blu, dalla vita alla morte, o di qualunque altra visione sia passata dal suo sguardo alla tela, sia ancora più difficile da interpretare che per chiunque altro artista.
Io, da profana, abituata però per professione a "cogliere" l'alternarsi delle emozioni nelle espressioni dei miei pazienti, o in certe difficoltà nell'esprimersi, rimango colpita soprattutto da questo: che comunque in ogni suo atto, in ogni sua lettera al fratello Theo, in ogni sua opera, ciò che mi appare inevitabilmente evidente, è la passione per la Vita e per ciò che la circonda.
Non so se i suoi cipressi siano simbolo di morte, ma sono possenti, forti, rigogliosi.
I suoi cieli, con quelle stelle che riescono a mandare lampi di luce, a risplendere perfino attraverso un dipinto, sono travolgenti esplosioni di Vita.
I vortici che quelle stelle creano, mi appaiono come la conflittuale mescolanza di sensazioni/emozioni, l'indice del tormento, dell' attrazione per il cosmo, per la sua potente bellezza, o per il mistero che racchiude in sé.
Tutto questo per me è comunque indice di un amore "folle" per la Vita e gli abitanti della Terra.
E questa, forse, era la vera follia di Van Gogh!
Per questo motivo credo che sia stato intollerabile per lui la consapevolezza di non riuscire a trasmettere agli altri la sua vera natura, il suo sconfinato "dentro".
L'unico mezzo in suo potere per esternarlo era attraverso la sua arte, i suoi colori, quegli incredibili gialli, certi rossi, e quei lucenti, prepotenti, intensi, blu cobalto.
Quell'anima che riusciva a risplendere solo attraverso ciò che vedevano i suoi occhi e da come lo vedevano.
Quegli occhi che sapevano guardare con l'anima, tutto ciò che lo circondava.
Mi sembra, senza alcuna pretesa di presunzione ma solo per la profonda empatia, di "sentire" quell' inquietudine vicina a quella che provavo io nella prima adolescenza.
Guardare il cielo di notte trapuntato di stelle mi riempiva dentro, sentivo quasi "traboccare" uscire da me quella emozione.
E inondarmi di vita
Se ero al mare in vacanza, uscivo con amici e amiche per andare sulla spiaggia, ma poi mi isolavo, restavo seduta sulla sabbia con le gambe ripiegate, alzavo il viso in alto per ritrovare quel cielo.
E solo allora, pensieri e fantasie facevano slalom tra quelle stelle.
Poi ne sceglievo una, la più vicina e più luminosa, e in maniera telepatica, parlandole con il pensiero, le rivelavo i miei sogni.
Sì, perché le stelle sono da sempre quelle che comunicano con i nostri sogni, sia che abitino il firmamento, che nel momento in cui "precipitano" attraversando il cielo per poi spegnersi.
Allora si esprime un desiderio, che si sa, è un sogno da bruciare.
Del resto anche Van Gogh scriveva:
"non so nulla con certezza, ma la vista delle stelle mi fa sognare."
Aveva solo 37 anni quando morì.
La sua fine non è mai stata totalmente risolta, circondata dal dubbio e dal mistero.
Si sussurrava che forse erano stati dei ragazzi di cui Van Gogh era il bersaglio di scherzi, soprusi, parole offensive e feroci.
Io ho sempre pensato che, se uno si uccide con un colpo di pistola, istintivamente o usualmente si punti l'arma alla tempia.
Molto più complicato, meno istintivo, meno pratico, è rivolgerla al proprio petto.
Almeno credo.
Ma stiamo parlando di uno dei più imprevedibili artisti della storia dell'arte, quindi ogni gesto all'apparenza strano diventa normalità.
Ecco, ho scritto solo una piccolissima parte di ciò che conosco, letto, visto, di Vincent.
In una parte ancora minore, forse infinitesimale, ho tentato di esprimere l'emozione che provo per tutto ciò che lo riguarda.
Ma come credo di avere già scritto, le emozioni, la loro intensità, la profondità, non si possono mai descrivere in parole.
Le emozioni si possono solo "avvertire dentro".
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