Capitolo 7 - Scelta del trattamento
Di norma il primo incontro avviene con il medico di base il quale invia poi a un'equipe specializzata, dato che la malattia presenta vari aspetti:
psicologico, clinico, nutrizionale.
Fondamentale è che tutti abbiano una conoscenza approfondita dei disturbi alimentari.
Diciamo subito che i DCA richiedono solitamente un periodo di cura abbastanza lungo, questo perché il progetto terapeutico è spesso complicato dal fatto che alcune pazienti devono essere ricoverate presso centri ospedalieri.
Inoltre sono pazienti che difficilmente intendono collaborare con gli specialisti.
Il primo contatto serve per conoscersi a vicenda e dà la possibilità di illustrare il lavoro terapeutico.
Alcune ragazze si sentono inabilitate se i genitori scelgono il terapeuta per loro, e in effetti sarebbe opportuno che le interessate prendessero in mano la loro terapia fin da principio.
In genere la terapia psicologica più raccomandata per questo tipo di disturbo è la cognitiva-comportamentale.
Gli interventi cognitivi sono finalizzati non solo ad affrontare i pensieri disfunzionali che mantengono la dieta estrema ma anche quelli associati ai conflitti interpersonali.
Altro tipo di approccio che l'esperienza clinica suggerisce è quello della terapia familiare ritenuto un trattamento adeguato per le pazienti più giovani che vivono in casa.
Essa tuttavia dovrebbe essere aggiunta alla terapia individuale anche nei soggetti più adulti che vivono fuori casa, soprattutto quando i conflitti familiari sono dominanti.
Per quanto riguarda la compulsione al vomito, quando questa si allontana dal disordine alimentare per diventare perversione basata sul cibo, può essere valido anche l'approccio terapeutico strategico dove lo scopo del terapeuta è quello di spezzare il circolo vizioso tra le tentate soluzioni fallimentari del paziente per risolvere il suo problema e la persistenza del problema stesso.
Questo perché eliminare un sintomo che si basa sul piacere anziché sulla sofferenza risulta estremamente difficile con un approccio "classico".
Nella mia personale esperienza professionale ritengo che la marcata complessità dei disordini alimentari sia potenziata anche dalla difficoltà iniziale di avvicinarsi ad una tipologia di pazienti caratterizzate da una sensibilità esasperata e da una istintiva diffidenza verso chi vuole aiutarle ad uscire da una malattia che tendono a proteggere, perché vissuta come un rifugio sicuro.
Di fondamentale importanza quindi il rapporto che si viene a creare tra terapeuta e paziente, la fiducia che si viene a creare, la comunicazione che diventa non solo parola ma sorriso, sguardo, complicità.
Un'alchimia che va oltre le diverse forme di trattamento che si possono usare.
In ogni caso per avviare queste ragazze verso la guarigione credo occorra prima di tutto un atto di responsabilizzazione.
Sino a quando sono solo i genitori a desiderare interventi specialistici le cose non cambiano molto.
Ingrediente fondamentale per la risoluzione del problema è chiedersi in prima persona: "che cosa io posso fare per combattere la mia malattia".
(Continua....)
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