Pensieri di un pomeriggio di Ottobre




Vorrei raccontarvi una fiaba.
Io adoro le fiabe, ve ne sarete già accorti credo.
Parlo a chi frequenta il blog ideato da me e Giada, con due modalità totalmente differenti.
Non solo per la diversità delle nostre professioni -lei biologa nutrizionista, io psicologa clinica- ma per la diversità caratteriale.
Ugualmente sensibili e attente all'altro, questo assolutamente sì, ma lei forse un po' più realistica.
Poi ci sono io, che riesco a esercitare la mia realtà solo se rivestita di quella parte fiabesca che abita in me e che non riesco a sradicare.
Mi sono chiesta tanti "perché", milioni di volte.
E mi sono data tante risposte, altrettanti milioni di volte.
Che ero una bambina estremamente delicata di salute per quelle violente bronchiti che mi stringevano il petto fino a togliermi il respiro, facendomi credere che me lo avrebbe tolto per sempre quel respiro.
Questo dai 9 mesi ai 13 anni.
Con febbroni che mi costringevano a trascorrere buona parte dell'inverno a letto.
Ma questa situazione, non particolarmente fortunata, ha portato con sé l'altra parte della medaglia, quella positiva, regalandomi una grande fortuna: la possibilità di leggere tanto, ma proprio tantissimo.
Fiabe.
Centinaia e centinaia di fiabe.
A partire dai 5 anni, quando ho iniziato a imparare l'alfabeto, poi a leggere, infine a "divorare" oltre le fiabe, tante leggende e racconti e ... non ho ancora smesso!
Mio padre mi regalò una "Enciclopedia della Fiaba" che trovò in un piccolo negozio a Firenze specializzato in libri di ogni tipo, alcuni anche antichi.
Quel l'enciclopedia era composta da 5 volumi enormi.
Sono loro che mi hanno salvata. E hanno costruito, giorno dopo giorno, una mente e un cuore fatto di fiabe.
Del resto anche Shakespeare scriveva che: "siamo fatti della stessa sostanza dei sogni", e le fiabe non sono forse sogni?
Io, come ho già spiegato in un blog precedente, ho sempre creduto fortissimamente che -parallelo al mondo che abitiamo- esiste quella "Terra di Mezzo" abitata da tutti i personaggi che ho "conosciuto" in quelle fiabe lette e rilette, ogni volta come fossero nuovi: fate, gnomi, folletti, streghe, maghi, silfidi, asrai, orchi, zucche che diventano carrozze per poi volare in alto nel cielo, facendo viaggiare principi e principesse, e coronare così il loro sogno d'amore ...
Infiniti abitanti di un mondo che per me non era virtuale, perché io lo vivevo così intensamente da ritenerlo altrettanto reale del nostro pianeta Terra.
La differenza è che, lì, potevo vederli e parlargli solo con la fantasia, con la mia immaginazione, con quegli "occhi della mente" che li rendeva concreti quanto le persone del mio quotidiano.
Ma potevo vederli e parlargli SOLO io.
Quei 5 volumi contenevano fiabe e leggende di tutto il mondo, ma proprio di tutto il pianeta!
Un volume riguardava anche la Mitologia.
Ricordo la leggenda di Eco, triste e bellissima.
Oppure una fiaba di cui non ricordo la nazionalità, ma quel racconto rimase "tatuato" nella mia memoria.
Raccontava di un uomo tremendamente avaro che non regalava mai niente a nessuno: neppure un sorriso.
Un giorno bussò alla sua porta un mendicante vecchissimo che si reggeva a stento con un bastone: il volto emaciato, le guance scavate e piene di rughe, il corpo curvo sotto il peso degli anni e della fame.
Qualcosa, in modo straordinariamente anomalo, si mosse nell'animo dell'uomo, e seppure con fare sgarbato, andò nella dispensa, prese una cipolla e l'allungo' al mendicante.
Il tempo passò, e a volte la vita con la sua imprevedibilità ti cambia tutto: l'uomo avaro si ammalò, e dato che in tutta la sua esistenza era stato di animo così arido, si ritrovò completamente solo, senza un amico, nessuno che l'aiutasse.
Un giorno qualcuno bussò alla sua porta.
Con espressione incredula andò ad aprire e ... si ritrovò dinanzi il vecchio mendicante di tanti anni prima a cui aveva donato una cipolla.
Il mendicante, che era in realtà un Mago buono, davanti ai suoi occhi si trasformò in un uomo dallo sguardo in cui albergava la Magia, quella vera, quella che non si può non riconoscere.
E con una bacchetta fatta di stelle e di luce lo toccò sulla spalla, e lo guarì.
"Vedi -disse poi il Mago- la generosità di quel giorno ti ha salvato. Qualcosa quel giorno si è mosso dentro il tuo cuore e ti ha aperto la strada a una nuova via da seguire.
Ti offro questa possibilità per quel gesto, questa nuova strada: percorrila fino in fondo, e riscatta così la tua avarizia con un cambiamento radicale: l'altruismo verso gli altri.
E l'immediatezza del sorriso. Conoscerai così un calore in te mai provato."
E così fu.
Ecco, ricordo che quella storia mi colpì talmente tanto, che ogni volta che vedevo qualcuno chiedere per strada l'elemosina, magari seduto per terra, d'inverno, con pochi stracci per coprirsi, gli offrivo sempre qualche moneta, o la mia colazione che mi portavo da casa per poi mangiarla a scuola.
E lo guardavo negli occhi, dritto in quegli occhi spesso stanchi e spenti.
Lo guardavo con tanta speranza quanto con incredulità, e un po' di timore.
Speranza, incredulità, e timore, nell'attesa che si sarebbe trasformato -sotto i miei occhi- in un Mago buono dal sorriso gentile.
Bè, non voglio tenervi con il fiato sospeso: non mi è mai capitato!
Però ogni volta era una piccola delusione, una lucina negli occhi che si accendeva e poi si spegneva rapidamente, anche se questo non ha mai precluso ogni volta un'aspettativa che faceva puntualmente e nuovamente accendere quella piccola luce.
Sono cresciuta, ma "... il cuore e il pensiero sono gli stessi" come canta Branduardi nella sua "Confessioni di un malandrino".
Forse un po' malandrina lo sono anch'io, quando fingo una freddezza e una razionalità che non mi appartengono più di tanto, ma sono utili per difendere il mio cuore che altrimenti sarebbe troppo esposto alle frecce altrui. Vulnerabile come un tirassegno di certi Circhi che ho sempre detestato anche da bambina.
Non so se per certi animali selvatici ridotti alla schiavitù dalla frusta di un domatore.
Non so se, ancora di più, per quel modo eccessivo di voler divertire con certi pagliacci dal viso truccato in modo così grottesco per quel stampare intorno alla bocca sorrisi esagerati, e che a me riempiva di tristezza.
Ma io lo so di essere sempre stata una bimba strana.
Quella neonata trovata tra i rottami di un'astronave, come ripeteva la mia mamma.
Per questo scrivo fiabe: per rivestire una realtà che non sempre mi piace.
E la rivesto con abiti colore del cielo e trapuntati di stelle.
Un po' come le misere vesti della bella Cenerentola che si trasformano, grazie alla Fata Smemorina, in quel fantastico abito lieve come una nuvola in un cielo di primavera.
Ma io non sono una fata.
Non possiedo bacchette magiche.
Forse per questo sono così cauta con gli uomini e i ragazzi che mi avvicinano: so che la mia prima tendenza sarebbe, se uno di loro mi ispira fiducia, di rivestirlo con l'abito di un principe.
Ma è un errore che può essere pericoloso, anche solo a livello di una delusione pronta a rilevarsi quando il cuore è vicino a schiudersi.
E spesso è proprio così: il confine tra il cavaliere dal cuore impavido e il timoroso che indossa l'armatura per non mettere il proprio cuore a nudo per diffidenza o timore, a volte è minimo e invisibile.
Ancora più attenzione richiede il riconoscere un cavaliere da un orco.
Ma questo è un altro discorso.
Non è la raccomandazione di una persona negativa.
Non la conclusione di una persona delusa.
NO, no no: io sono esattamente il contrario!
Ma proprio per questo so quanto male possa fare chi si rivela altro da ciò che mostra.
So che può cambiare il proprio modo di essere, quell'anima un po' infantile, fiduciosa, come solo i bambini sanno essere quando allungano la mano pronti a stringere quella che gli viene offerta.
E questo non deve capitare.
Perché "sbuccia" il cuore e lo graffia.
Perché, almeno le fiabe, devono terminare sempre con quel "felici e contenti".

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