A proposito di DOC (Disturbo Ossessivo Compulsivo) - Robby e la libertà conquistata







Era un ragazzino sveglio Robby.
Carino, gli occhi vispi e curiosi, di un bel castano scuro che spiccavano sotto il ciuffo di capelli biondi.
Il viso roseo e un sorriso accattivante, sempre pronto ad aprirsi agli altri.
Aveva 17 anni, il fisico temprato da quelle passeggiate nella natura che spesso diventavano arrampicate più impegnative, quando la strada si inoltrava in salite ripide per raggiungere certe vette che si affacciavano su panorami mozzafiato.
Era bellissimo quel sentiero che divideva le due vallate.
Il cielo di un fantastico azzurro era terso, nitido, privo di nubi, tanto da sembrare frutto del pennello di un grande pittore, come certi colori a spatola di Van Gogh, o quelli più tenui e delicati di Chagall.
O forse no.
No, certo che no: la Natura è l'artista più eccelso, niente e nessuno può eguagliarla!
Robby si guardava intorno, e il cuore e gli occhi si spalancavano di fronte a tanta meraviglia.
Conosceva bene quel sentiero tra il verde e l'azzurro.
Tra le valli e il cielo.
Per questo lo aveva scelto: per mettersi alla prova. E vincere.
Vincere quella prova che ai più sarebbe apparsa ridicola, ma per lui era una lotta strenua, tra la sua volontà e il suo disturbo.
Vi spiego il perché? Okay.
Quel sentiero che divideva le valli, immerso nella bellezza, così sovrastato com'era da quella infinita pennellata di azzurro a volte tenue come un acquerello, altre più intenso come uno smalto, aveva però un difetto.
Almeno per Robby.
Forse definirlo sentiero non è esatto perché era abbastanza ampio, e non stretto come spesso capita.
Ed essendo ampio, il terreno in alcuni tratti solido in altri sterrato, era disseminato di sassi, alcuni più grossi e sfaccettati, altri più piccoli e quasi lisci.
Alcuni seguivano in alcuni punti linearità, in altri erano più tortuosi e cambiavano direzione, proseguivano in mezze curve, per poi riprendere i tratti lineari.
Qual era il problema vi chiederete.
Ecco, il "non problema" per la maggioranza delle persone, era in realtà qualcosa di infinitamente faticoso per Robby.
Lui "doveva", assolutamente DOVEVA, seguire ogni variazione dei sassi.
Quando dico "ogni", significa OGNI più piccola infinitesimale variazione.
Era ossessionato da questo.
Non capiva neppure lui il perché ma DOVEVA.
Doveva seguire in modo meticolosamente ossessivo il tragitto dei sassi.
Forse se ne avesse ignorato uno, anche solo uno piccolissimo, se fosse andato dritto invece di seguire una curva, anche la più minuscola ... oddio, cosa sarebbe accaduto ... COSA?!
Forse gli sarebbe capitata una disgrazia?
Magari a qualcuno dei suoi cari.
Un terribile imprevisto.
O in quel bellissimo percorso si sarebbe forse aperta una voragine.
E la Terra avrebbe magari inghiottito tutto l'azzurro del cielo ... chissà.
Oddio come era stanco di seguire i feroci comandi di quella sua testa crudele, inflessibile, dura come il più rigido dei dittatori!
Così mortalmente stanco.
Lo sapeva Robby, lo capiva, era consapevole di tutto!
Aveva cercato mille e mille volte di sottrarsi ai quei comandi, a volte i più assurdi e impossibili...ma poi...poi niente. E cedeva.
Ubbidiente come il più diligente dei soldatini.
Era la stessa cosa quando al mattino si lavava: partiva da una parte del corpo che doveva essere immancabilmente l'ascella destra, anche se, non essendo mancino, gli sarebbe venuto più istintivo lavare la parte sinistra con la mano destra.
Era poi la volta di vestirsi.
Iniziava dai calzini.
Prima infilava la punta, contava fino a 10, poi proseguiva con la pianta del piede contando fino a 15, chiudeva infine -contando fino a 20- con il calcagno.
"Che vita è", si chiedeva mentre proseguiva lungo il sentiero seguendo le variazioni dei sassi.
Si accorse di colpo che, dopo un po' che aveva iniziato il tragitto, si era messo a contare anche il numero dei sassi.
Era talmente concentrato in questa nuova "operazione" da esserne totalmente assorbito.
Alzò la testa e si rese conto di non essere più nel suo solito sentiero, quello che conosceva a memoria, in ogni sua variazione, in ogni sua biforcazione, in ogni piccolo angolo o curva che fosse ma che lo riportava al punto da cui era partito e dal quale -poi- avrebbe proseguito la strada per ritornare a casa.
Sì guardò intorno, girò lo sguardo, poi girò su se stesso per cogliere ogni traccia che lo riportasse a un punto conosciuto, che era il suo riferimento .
C'era un albero che gli era già familiare per la forma un po' strana: era un abete che aveva attirato la sua attenzione per quella cavità nel tronco che ospitava il nido di una famiglia di picchi, e da allora era il suo appuntamento fisso, quello che gli allargava il cuore, perché la sua vista lo rassicurava.
E gli regalava un sorriso.
Ma niente.
Assolutamente NIENTE.
Non voleva farsi prendere dal panico, perché sapeva che gli avrebbe tolto lucidità e concentrazione.
Guardò il cielo: il sole era ancora abbastanza alto, ma meno, molto meno di quando era partito, e sapeva che tra non troppo tempo sarebbe tramontato nascondendosi dietro la vallata.
Anzi, non sapeva dietro quale perché non erano più solo due, quelle che le erano amiche, ma se ne erano aggiunte altre forse non così amiche perché non le riconosceva, e aumentavano la sua confusione.
Il sole si nascose prima di quanto avesse pensato, oppure il tempo era passato più veloce e una delle valli lo aveva inghiottito, lasciando intravedere solo alcuni raggi color arancio scuro.
Poi solo una luce tra il porpora e l'oro.
Infine il celeste intenso della sera.
Presto verranno a cercarmi si disse Robby.
Il papà inizierà a preoccuparsi.
E la mamma?
Oddio la mamma chissà... inizierà a disperarsi a quest'ora.
Intanto il celeste intenso della sera stava tramutandosi in un blu deciso.
Poi il blu divenne così scuro da confondersi con il nero.
Meno male che, improvvise, comparvero prima poco numerose poi sempre più fitte, le stelle.
Sì ricordò le parole di una poesia che la professoressa d' italiano aveva detto di studiare.
Lui non impazziva per le poesie.
Non aveva tutta questa memoria, almeno non per le poesie.
Invece di colpo si ricordò di una frase: " dopo tanta nebbia, a una a una si svelano le stelle."
Non gli era mai particolarmente piaciuta, ma all'improvviso gli parve meravigliosa.
Forse perché mai come in quel momento ne capiva ed apprezzava il significato in tutta la sua verità.
Insieme al buio arrivò il freddo.
La temperatura calda che il sole aveva elargito durante il giorno, ora era completamente cambiata.
Era freddo, con folate di vento a volte quasi gelide.
Robby cercò un rifugio, ma non c'erano grotte o anfratti ed era troppo buio per cercarli.
Solo la luce argentea di una bella luna, grande e luminosa come una Fata benefica, era spuntata facendosi largo tra il blu e le stelle.
Il ragazzo allora cercò di costruirsi un giaciglio vicino a uno dei rari cespugli che costeggiavano il sentiero.
" spazzò " il terreno con le mani per raccogliere le foglie a cui non aveva dato mai importanza ma che ora erano preziose: sapeva che se ne metteva un po' insieme, e ci si fosse infilato dentro almeno con le gambe, gli avrebbero regalato un po' di calore.
Ma la notte diventava sempre più fredda.
Rabbrividiva Robby, non sentiva più i piedi, batteva i denti, e lasciò entrare la disperazione nel suo animo, nel suo cuore, nella sua forza di ragazzo solido e temprato a invaderlo fino a fargli perdere le speranze.
Lottava con il sonno che ormai era sopraggiunto rafforzato dalla infinita stanchezza, dalla paura ... lottò e cercò di resistere con tutto il suo essere e quell'immenso attaccamento alla vita che così fortemente aveva.
Poi cedette a un sonno simile ad un incantesimo.
Come immerso in una sorta di sogno Robby sentì il calore di un fiato caldo sul viso, il contatto di una lingua ruvida sulle gote, sulla fronte, che lo spingeva al risveglio, a reagire, a scuotersi da quel torpore di morte.
Era Argo, il suo fedelissimo adorato cane che era nato con lui, cresciuto con lui, vissuto ogni giorno con lui.
Argo che quel giorno, in quella sua ostinata avventura che voleva viversi da solo, aveva lasciato a casa.
Eppure lui era riuscito a trovarlo, con il fiuto della sua razza e con quello del suo amore per il suo "padroncino".
Sentì la voce dei genitori, il pianto di sollievo e poi di gioia, fortemente liberatorio, della madre.
E poi il papà, e gli amici.
Tutti ad abbracciarlo, tra risa e pianto, tra parole di gioia già intaccate da qualcuna di rimprovero, come sempre quando passa la paura!
Poi lo fecero stendere in una sorta di barella d'emergenza.
E si tornò a casa.
Durante il ritorno Robby pensò a quanto gli era costata la sua ossessione, a quanto -ancora di più - avrebbe potuto costargli. E ... sì, era guarito!
Forse il prezzo era stato alto per arrivare a capire, ma era guarito.
Ora iniziava una vita nuova.
Finalmente NUOVA.

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