A proposito di "autostima" e consapevolezza di sè - TIMOBY


Era grasso Timoteo.
Non, solo "un po' in carne", come gli ripeteva sempre la mamma forse per consolarlo o rassicurarlo.
NO, grasso!
Irrimediabilmente e decisamente grasso.
Se lo sentiva ripetere da sempre.
Certo, quando era piccolo ascoltava di nascosto la mamma parlarne con le amiche che le ripetevano:
"... ti dico che è perché è ancora piccolo, ma vedrai verso i tredici, massimo fino ai 15 anni, come cambierà. La statura aumenta di parecchio nell'età della crescita, e i ragazzi si snelliscono tanto, diventano altro, ti assicuro!"
Così Timoteo aspettava.
Giorno dopo giorno.
Settimana dopo settimana.
Mese dopo mese, aspettava.
In attesa di quel benedetto giorno in cui avrebbe compiuto quei 13 anni, e avrebbe iniziato a perdere peso, dimagrire, e magari a mettere su anche qualche muscolo ... chissà.
Forse, però, quell'attesa non sarebbe stata così penosa, eternamente lunga, angosciante, se non ci fossero stati certi amici.
Amici?
No, non era il termine più esatto per definire quel gruppuscolo di compagni di classe così feroci, meschini, stupidamente squallidi!
Lo chiamavano "palla di lardo".
Oppure "ciccio bombolo".
O ancora "Moby", facendo riferimento al romanzo di Melville, "Moby Dick la balena bianca", dove si racconta la storia di una balena e dell'odio irragionevole e feroce che il comandante Achab nutriva verso quell'enorme animale.
E Moby, tutto sommato, era il nomignolo meno offensivo tra tutti quelli che gli elargivano in ogni momento della giornata.
Spesso i bambini, così come i ragazzi, sono crudeli e un po' vigliacchi, perché si fanno forza del gruppo per ferire e offendere chi è più debole.
Timoteo era stanco.
Stanco di sopportare e resistere.
Non confidava alla famiglia le angherie che subiva: era orgoglioso, non voleva la pietà di nessuno, non era certo della compassione che aveva bisogno!
E poi che nome era "Timoteo"?
Possibile che non ci fosse stato un nome più normale da affibbiargli? anche più banale magari, ma meno difficile e raro.
Sì, perché anche il suo nome si adattava alla perfezione ad una ulteriore presa in giro: "Timoby"!
A volte lo chiamavano anche così.
Quell'unire Timoteo a Moby Dick, quasi fosse la fusione di quel suo essere indefinito, informe, una nullità insomma.
Quale valutazione dava alla sua stima Timoteo da 1 a 10?
6 ... 5 ... 3...?
No.
No no, la sua autostima era pari a zero.
Anzi, se ci fosse stata la possibilità di dare una valutazione sotto lo zero, sarebbe sceso...sceso... sceso a oltranza: -100 ... -1000 ... -10.000... meno.
Comunque e sempre.
Sempre meno ogni giorno di più.
E arrivò il suo quindicesimo compleanno.
Dopo averlo atteso come fosse il giorno della sua rivalsa, finalmente arrivò.
Timoteo sì rese presto conto che era stata una sorta di inutile agonia la sua, l'attesa di un momento il cui riscatto però non arrivava mai.
Aveva una varietà infinita di qualità e pregi quel ragazzo: era prima di tutto intelligente, molto intelligente.
E poi era altruista, generoso, disponibile, ma soprattutto sensibile.
La sua sensibilità forte, e nello stesso tempo lieve, lo rendeva fragile come le ali di una farfalla.
Iniziò a svalutare ogni aspetto di sé.
Evitava gli specchi, ma non solo.
Quando girava per strada erano tanti i negozi con vetrine costruite con materiali trasparenti come altrettanti specchi, così evitava di guardare anche quelli.
Un giorno, sopra pensiero, giro' il viso di lato, e al suo sguardo -riflesso da quella vetrina- si presento' una figura che non riconobbe.
Chi era quel ragazzo così goffo, grosso, senza grazia, senza un corpo definito, senza alcuna armonia e proporzione tra spalle, busto, addome, cosce, gambe...
Chi era?
Sì fermo' Timoteo, e fisso' la figura che le rimandava la vetrina.
"Sono IO".
Pronunciò quelle parole a voce alta.
Senza nascondersi, senza ingannarsi, senza cercare stupide e inutili strategie per camuffare e mistificare la sua verità.
Fu come un lampo improvviso, così intenso e abbagliante da rischiarare il suo animo, così come fa il lampo in una stanza immersa in un buio profondo.
Come un tunnel chiuso in entrata e in uscita che di colpo si apre alla luce.
Lui NON era solo questo.
Non un aspetto goffo e grasso senza contenuto.
No...no, no, no! era in gamba lui.
Il suo cuore e la sua anima erano ricche di cose belle.
E anche il suo viso e i suoi occhi lo erano: belli, e intensi.
Lo stupore improvviso come quel fascio di luce abbagliante dentro quel tunnel buio.
Qualcosa si spezzò e si ricompose in lui.
Contemporaneamente: si spezzò per unirsi in qualcosa di mai avvertito.
Sì sentì "nuovo".
Non era legato al compimento di un'età, perché il suo fisico non era cambiato, non ancora perlomeno.
No, non era questo.
Il cambiamento era avvenuto "dentro".
Dentro di sé.
Qualcosa di sopito in lui fino a quel momento, ora lo sentiva premere dentro la sua anima, come un germoglio che deve farsi spazio sotto un terreno duro e arido.
Che spinge, perché la natura di ognuno segue il percorso che ci fa crescere se gliene diamo la possibilità. Se ci crediamo.
Sembra impossibile che quel germoglio così tenero possa vincere la sfida. Invece ce la fa.
Perché volere è potere?
Forse...o forse non è solo questo.
Forse la verità è che siamo noi e solo noi a dare "spazio" agli altri, al loro prevaricarci, alla loro vigliaccheria.
E noi -e solo noi- possiamo mettere un freno, quel confine che può essere oltrepassato solo se siamo noi a volerlo.
Che l'autostima, così come spiega il termine con quell' "auto" davanti, è quella fiducia in noi stessi che possiamo/dobbiamo decidere di mettere in atto.
E gli altri, quelli che a volte "fiutano" la debolezza che subito avvertono essendo vigliacchi, si terranno alla larga da chi impara l'autostima
Timoteo era cresciuto non per l'età, ma per quella consapevolezza di sé che aveva scoperto, che aveva tenuto "dentro" come in uno scrigno tenace, duro, estremamente difficoltoso da aprire.
Ma alla fine -trovata la chiave- lo aveva aperto, e dentro ...
ecco, dentro il tesoro più prezioso per costruire il suo futuro: la sua forza.

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