Quando l'iperprotezione è egoismo - La gabbia di Diana




Era particolarmente caldo quel pomeriggio d'agosto.
Le cicale riempivano l'aria con quel loro continuo frinire che accompagnava le giornate come una musica di sottofondo. Diana conosceva da sempre quel suono caratteristico che segnava l'inizio dell'estate, così come da sempre sapeva che quando le cicale si fossero zittite, il "cri cri" dei grilli, all'imbrunire, avrebbe sostituto quello creato dalle cicale sfregando le ali.

Le veniva in mente una poesia del Pascoli che recitava così: "...e la cicala friniva sugli ornelli".
Le veniva da sorridere, perché l'aveva imparata a memoria quella poesia, ma nessuno le aveva spiegato cosa fossero gli "ornelli", e lei non lo aveva mai chiesto.
Del resto lei non faceva mai domande, per la consapevolezza che non avrebbe ricevuto risposte.
Non era molto considerata Diana in famiglia: papà, mamma, un fratello più grande che lei amava molto e da cui era ricambiata, e che ammirava da morire.
Poi lei.
Diverso il fratello: più forte, più autonomo, più ribelle, e sicuramente più orgoglioso e determinato.
Non arrendevole e succube come era lei dei genitori.
Anzi, per amore della verità, era la mamma quella dura e autoritaria in quel suo tenerla legata a sé.
Che spacciava per eccesso di protezione, ma che in realtà nascondeva il timore di vederla crescere e allontanarsi da lei.
Il papà tutto sommato sarebbe stato più conciliante, ma era prevaricato dalla moglie, e non aveva voglia di scontri dove ne sarebbe uscito sconfitto.
Vivevano in campagna, in un tipico casolare dai muri bianchi e gli scuri delle finestre in legno di un bel color marrone.
Tutto intorno il verde dei campi, la distesa del vigneto, e i tronchi nodosi e pieni di linfa degli ulivi.
E quando veniva il tempo della vendemmia i tralci si piegavano sotto il peso dei grappoli turgidi e rigogliosi.
Così come gli ulivi quando i frutti erano belli, gonfi, pronti da cogliere.
Non sarebbe stata una brutta vita se Diana non fosse stata la ragazza non compresa che invece era.
Se quel suo carattere dolce, riservato, un po' timido, non fosse stato oggetto di continui rimproveri da parte di una madre troppo autoritaria, che apprezzava e rispettava solo chi era altrettanto duro e privo di quelle che lei considerava inutili "sdolcinature".
Era sola Diana.
Il fratello più grande si era sottratto a una situazione impossibile da gestire.
Aveva sopportato, ma quell'esigenza di cambiamento, quella voglia di vivere la vita che gli spettava, che sentiva premere dentro con una prepotenza ogni giorno più forte, la lasciò affiorare senza spingerla più in quel fondo buio.
E se ne andò.
Si sentiva in colpa verso la sorella, ma sapeva anche che restare non sarebbe servito a niente, e a nessuno dei due.
Non poteva aiutarla: lui sarebbe stato solo una vittima in più.
Pensava a questo Diana guardandosi intorno, e aspettando già i rimproveri della mamma: "sempre a bighellonare tu, vero? vieni subito che ci sono le stoviglie da lavare!
E poi non si sa mai chi si incontra a girare da sole..."
Mentre si avviava rassegnata verso casa, Diana pensò al suo nome con ironia.
Si disse: "Diana, come la Dea Cacciatrice!... e dove l'hai messo l'arco e le frecce? DOVE, stupida pavida, inconcludente ragazza?"
Si ripeteva questo mentre inghiottiva quelle lacrime che non poteva permettersi di versare.
Perché in realtà la sua forza era immensa.
Sì, credetemi, immensa!
Perché nessuno riesce a capire quale enorme forza occorra per andare avanti nella sofferenza che riserva l'accettazione.
È più facile credere che chi resta sia unicamente dettato dalla mancanza di coraggio.
Di non essere capace di dire: NO, basta!
E andarsene.
Ma andarsene di casa a volte è solo più facile, non per forza più coraggioso.
E indispensabile è, per capire davvero e giudicare, conoscere l'anima di una persona, i suoi silenzi, certi occhi abbassati, le parole non dette non per paura, ma per un vissuto che ha lasciato "dentro" una sensazione d'impotenza.
E da qui la convinzione di essere deboli e fragili.
O ancora, un tentativo di ribellarsi fallito per motivazioni pratiche, oggettive.
Oppure perché a volte è difficile sottrarsi all'amore di una madre anche quando si crede di odiarla. Quindi non è pavidità.
O forse è così, ma nessuno riflette mai che la goccia scava la pietra.
E ciò che si prova per una madre, nel bene e nel male, è come quella goccia che scava ogni resistenza.
Era bella Diana, la carnagione chiara, i capelli castani, gli occhi profondi ma dall'espressione sempre smarrita di chi aspetta qualcuno che l'ascolti senza il pregiudizio del disinteresse.
Allora sì che all'improvviso sarebbe apparsa la vera Diana, quella con arco e frecce, quella che nessuno si era mai posto il dubbio che esistesse, quella che nel suo resistere andava avanti a testa bassa.
Il vero problema?
Bè... non era quella debolezza, quella fragilità, quel subire, quel piegare la testa, quell'accettare prevaricazioni che diventano poi violenza, NO!
Il vero problema sarebbe stato arrendersi, convincersi che dietro la maschera della persona succube non ci fosse nient'altro da scoprire.
Che la tristezza dei suoi occhi, le sue labbra dalla piega amara, le precoci rughe che segnavano la fronte, il suo viso insomma, fosse irrimediabilmente uguale alla maschera. E non era così.
Ma questa storia un po' racconto e un po' fiaba, dove le protagoniste assomigliano un po' a Cenerentola e alla cattiva matrigna, non ha un finale eclatante per bellezza come la vera fiaba, ma piena di speranza sì.
E di sorpresa.
Perché Diana non si arrenderà.
Il Tempo è quel medico un po' Grande Saggio e un po' Mago, che spesso sa sciogliere incantesimi malvagi.
Quel Tempo che a volte rafforza perché fa guardare dentro, senza critica feroce, senza indulgenza, ma con animo sgombro dalle troppe aspettative "dell'età dell'innocenza, e anche dai troppi timori dell'inesperienza.
Che, come raccomanda Walt Whitman, dobbiamo cercare di vivere con energia, con il maggior entusiasmo di cui siamo capaci, ma soprattutto con quella fiducia che ci permette di ricominciare, a ogni delusione, una vita nuova.
E renderla straordinaria.

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