La Fiducia - Roanne

 

Eccomi.

Avevo detto che vi avrei narrato la storia di Roanne.
Ora ve la racconto.
Roanne, come vi ho accennato nel post precedente, era una silfide.
Una creatura della Terra di Mezzo molto particolare, come del resto lo sono un po' tutti gli abitanti di questo Regno.
Lei però era davvero unica e speciale.
Diversa dalle altre silfidi.
Questo perché Oberon, Re del Mondo delle Fate, le aveva fatto un dono particolare.
A lei, e solo a lei.
Infatti, mentre le altre erano destinate all'eterna fuga per non essere catturate, Roanne -se avesse incontrato un Uomo dal cuore sincero- avrebbe avuto un destino diverso da tutte.
Questo amore, però, doveva essere nutrito da un sentimento profondo, un amore unico, senza dubbi né incertezza, autentico, senza falsità né ambiguità, senza bugie né dichiarazioni ardenti, niente che fosse dettato solo dall'estro del "momento".
Un amore che non si sarebbe consumato nel tempo, ma in cui il tempo sarebbe divenuto -al contrario- il complice di giorni sempre più ricchi di passione e di scoperte reciproche.
Che non avrebbe mai dovuto provocare lacrime, se non quelle suscitate dai fremiti dettati dalle emozioni dell'anima.
Quindi ... ecco, se questo Umano con il cuore "pieno" di lei fosse riuscito a toccarla, lei non si sarebbe sciolta né si sarebbe trasformata in una pozza d'acqua.
Avrebbe fermato per sempre quella sua fuga senza tregua.
L'amore sarebbe stato più forte di qualunque incantesimo.
Ma -e questa era la grande prova, il grande ostacolo da superare- lei, per fermare la sua corsa e permettere all'uomo di toccarla, avrebbe dovuto concedergli tutta la sua fiducia.
Una fiducia immensa.
Totale.
Una fiducia senza esclusioni.
Estremamente rischiosa.
Ed era una prova davvero enorme, perché sbagliarsi nel concederla, in questo caso avrebbe significato la fine della sua esistenza.
Roanne era a conoscenza del dono fattogli da Oberon, e non era certa fosse davvero un dono.
Era un'arma a doppio taglio, e in questo momento le faceva una grande paura.
Significava che la fiducia avrebbe dovuto vincere sulla sua corsa, su quella fuga perenne che era la sua condanna ma anche la sua salvezza.
Tutto questo le appariva un'impresa impossibile.
Ma se Oberon aveva scelto lei, un motivo doveva esserci.
Quindi ne era grata al Re delle Fate. E orgogliosa.
Roanne, come tutte le silfidi, aveva un aspetto leggiadro.
Il corpo, pur nella sua sottigliezza era ben delineato, delicato ma definito, malgrado fosse l'acqua la sua essenza.
I capelli lunghissimi, morbidi e fluenti, si muovevano nella corsa con lo stesso variare del vento.
Quel giorno Roanne se ne stava seduta vicino alla sponda di un piccolo ruscello che scorreva all'interno del Bosco delle Fate, dove l'erba è di un verde dalle mille sfumature, perché il colore cambia a seconda della vegetazione.
Dal verde tenero e chiarissimo di certi piccoli fili d'erba che spuntavano dal terreno al passaggio di una fata, fino a quello cupo e bagnato di rugiada del muschio, molto apprezzato dai Nani quando uscivano dalle loro abitazioni sotterranee.
Era rannicchiata Roanne, e osservava lo scorrere dell'acqua: le braccia sottili allacciate alle lunghe gambe che teneva piegate, strette contro il seno.
Il mento posato sopra le ginocchia, gli occhi socchiusi a rincorrere i suoi pensieri.
Il capo piegato in avanti faceva sì che i capelli, fluenti e lunghissimi, le coprissero il corpo nudo come una lieve coperta.
Fu in quella posizione che il Principe di Cornovaglia la trovò.
A dire la verità era già da parecchio che la stava guardando, ammirato e attratto da tanta delicata fragilità.
Non aveva idea di come fosse finito in quel luogo sconosciuto.
Ricordava di essersi fermato a riposare con la sua armata che gli faceva da scorta e che, sopraggiunta la notte, avevano acceso un fuoco e creato un riparo per farlo riposare.
Poi?
Bè...poi non riusciva a ricordare altro.
Si era addormentato come scivolando dentro un pozzo senza fine, in un lungo sonno profondo.
Una sorta di vortice dolce gli aveva annebbiato la mente come fosse entrato in un sogno.
Poi si era ritrovato in quello strano bosco dove, camminando nella speranza di ritrovare la strada e la sua scorta, aveva intravisto la fanciulla.
E tutto si era fermato.
Ogni altro pensiero aveva ceduto il posto all'incanto della curiosità che le procurava la scoperta della ragazza.
Non sapeva che fosse una silfide, ignorando di trovarsi nella Terra di Mezzo.
All'improvviso Roanne si accorse dell'uomo e, immediatamente, la sua natura di Asrai si allertò pronta alla fuga.
Fu la voce del Principe a fermarla.
Le parlò con un tono talmente dolce, calmo, gentile, rassicurante, da lasciarla smarrita.
Pronta alla fuga eppure incerta.
Fu a quella incertezza che il Principe si legò, avvicinandosi piano per poterle parlare.
Oh, si chiedeva Asrai ... ma da quale mondo era arrivata questa creatura che non aveva mai visto?
Quale incantesimo?
Bello e fiero l'aspetto, diverso da qualunque abitante della sua Terra di Mezzo.
La passione di quello sguardo attraversò quel suo corpo di silfide, facendolo rabbrividire.
Ma furono le sue parole a toglierle la rapidità della corsa, quelle parole che la lasciavano incerta e smarrita, se fuggire o restare.
Il Principe, acceso di passione, cercò le frasi più belle che la sua anima e il suo desiderio potessero trovare in quel contesto.
Gli parlò del suo mondo.
Di una terra popolata solo da esseri umani.
Gli parlò del suo Regno.
Di re e di cavalieri.
Di dame, di corti, di immensi saloni dove si danzava, si suonava, mentre buffi pagliacci rallegravano il popolo.
Dove le ragazze indossavano meravigliosi abiti lunghi dalle gonne ricche di strati di tessuto lievi come ali di farfalla.
Di lunghi capelli intrecciati, adorni di fiori e di gemme.
Di meravigliosi castelli dalle guglie di puro oro zecchino, a cui il sole all'alba donava riflessi di luce abbagliante, e al tramonto di rosso rubino.
Di sogni.
Le parlò di SOGNI.
Di infiniti, meravigliosi, sogni.
Non sapeva il Principe, che Roanne non poteva fruire della luce del sole, o sarebbe morta.
E, anche se lo avesse saputo, il suo desiderio non avrebbe ceduto il passo a qualcosa che voleva a tutti i costi.
Che desiderava per sé.
Era un Principe, e come tutti i principi il suo volere era tutto ciò che conosceva.
Egocentrismo o egoismo non fa mai differenza.
Prigioniero del proprio IO, dove il suo amore era solo un suo atto creativo.
E lui era il centro di tutto, innamorato dell'immagine ideale del suo amore.
Il suo cuore si era acceso per la dolce Roanne, ma come riflesso del proprio amore e desiderio, non di quello dell'altra.
Ma lei non lo poteva sapere.
L'eterea e diafana silfide sapeva solo che se avesse fermato la sua corsa e si fosse lasciata catturare -se l'altro non avesse posseduto un cuore puro abitato da un amore profondo- lui alla fine si sarebbe ritrovato solo le mani bagnate, e ai suoi piedi una pozzanghera d'acqua.
Ma Roanne non aveva mai conosciuto niente di simile, non ne aveva esperienza, non faceva parte della sua natura pura che conosceva solo la fuga.
Sì fidò di quello sguardo che credeva sincero, di quel giovane viso di ragazzo, e che fosse un principe a lei non importava, perché nel suo Regno non esistevano.
Lasciò che si avvicinasse con l'animo così pieno di fiducia e di certezza, da sentirsi invadere da una forza mai provata.
Di musica e di luce.
Chiuse gli occhi, gli sorrise, i lunghi capelli avevano riflessi d'oro e di rame alla luce della luna, e proteggevano il suo corpo nudo e bianco sotto quei raggi argentei.
Gli allungò le braccia ebbra di felicità, certa che avrebbe conosciuto l'intensità dell'amore fisico degli esseri umani, di cui aveva sentito tanto parlare.
Il Principe la circondò con le braccia per stringerla con la forza del suo desiderio e ... oddio... cosa stava accadendo?!
Chinò il capo sgomento osservando le sue vesti bagnate e, in basso sul terreno erboso, una pozzanghera d'acqua limpida, chiarissima, fresca come quella dei torrenti che scorrevano dietro alla tenuta del suo Castello.
Ancora incredulo si guardò intorno come a cercarla.
Poi cercò la strada per raggiungere la sua scorta.
Ritrovò i suoi Cavalieri, salì sul suo bellissimo destriero dal manto nero e lucido come l'ebano, e cavalcò verso il "suo" mondo dove c'era il suo Castello, il suo Regno, le sue Dame e i suoi Cavalieri, la sua realtà insomma.
Presto, della piccola, innamorata, fiduciosa silfide, non rimase che un ricordo confuso tra realtà e sogno.
Oberon, che aveva osservato tutto dall'alto di una nube, bianca e soffice come un mantello di neve, pianse per il rimorso di avere fatto dono a Roanne di quella possibilità concessa solo ed esclusivamente a lei.
Poi pensò che della conclusione di quel dono non aveva colpa.
Che Roanne conosceva il rischio enorme, se si fosse sbagliata nel suo giudizio.
Che lei era una creatura della Terra di Mezzo, ignara che l'animo dell'Uomo potesse essere -se non falso- a volte superficiale, altre un po' vuoto, spesso ingannevole perfino a sé stesso.

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