Racconti sulla paura - Storia di Strizza

 

Strizza era un "quasi adolescente".
A dire la verità non è che si chiamasse proprio "Strizza", certo che no, il suo vero nome era Luca, ma quello era il soprannome che gli avevano dato in famiglia da quando era piccolo.
Ora aveva compiuto i 13 anni, ma a quel nomignolo si era abituato anche lui.
Non che gli piacesse, ovvio, ma era abbastanza onesto con se stesso da ammettere che un po' lo meritava.
Luca aveva paura.
Magari a ognuno di voi, mentre leggete, verranno in mente le paure più frequenti nei bambini, come la paura del buio, dei ladri, dei luoghi alti, oppure di quelli chiusi, di rimanere in casa da soli, o dei brutti sogni ... insomma, delle paure più "normali" nei ragazzini.
Invece no.
No, Luca -o meglio Strizza- aveva una paura più "adulta", se così si può definire: aveva paura di ciò che non conosceva.
Intendiamoci, non di ciò che non conosceva riguardo cose mai fatte che avrebbe dovuto affrontare: come ad esempio passare a classi superiori nella scuola, o fare quelle attività sportive che i suoi genitori avevano deciso avrebbe dovuto praticare, ma per lui nuove.
E neppure di andare con i compagni alle gite della scuola, o al campeggio estivo ... no no, niente di tutto questo.
Aveva paura di quel vuoto che all'improvviso "bussava" dentro la sua anima, che sembrava dirgli "eccomi, sono arrivato!"
Quel vuoto gli faceva domande a cui lui non sapeva dare risposte.
E lui aveva bisogno di risposte sempre, pronte, che gli dessero la sensazione che tutto fosse sotto controllo, "normale", senza sorprese.
Ma la vita non è una scatola di cui si conosce il contenuto.
Forse questa imprevedibilità è il suo bello, ma certamente non per Strizza.
Così -ogni volta che i genitori progettavano qualcosa di diverso- come un viaggio in un paese straniero, una vacanza in un luogo dove non erano mai stati, feste dove erano stati invitati da persone conosciute da poco ... ecco che sentiva quel "tock tock" alla porta della sua anima, ed era lei, sempre lei: Signora Paura.
Così iniziava a fare mille domande ai genitori: " ma che posto è?" oppure "e dove abitano questi signori, perché non ci vediamo con i soliti amici..?"
I genitori iniziavano ad essere stanchi di questo continuo timore di tutto ciò che lui non conosceva, delle tante domande, dei mille dubbi, di quei rifiuti che subito Luca poneva a ogni nuova proposta.
Era sempre stato un bambino particolare, che sprizzava entusiasmo ed allegria se tutto si svolgeva secondo le solite dinamiche, i percorsi di sempre, ma che subito si rabbuiava se qualche novità non prevista veniva a interferire con l'idea che aveva già in testa.
La mamma gli ripeteva sempre una filastrocca che era diventata quasi un mantra: "la paura bussò alla porta e il coraggio andò ad aprire!"
Un giorno Strizza, all'uscita di scuola, aspettava la mamma che era in ritardo.
Passeggiava nervoso, avanti e indietro nel piccolo spazio fuori dell'edificio.
Erano già andati via quasi tutti, sciamando ognuno per la stessa strada con altri compagni, o per strade diverse da soli o con i genitori, e lui era ancora lì, sempre più corrucciato, sempre più teso in volto.
All'improvviso si sentì tirare per il maglioncino, si girò, guardò in giù verso il basso, e vide un bambino.
Aveva gli occhi pieni di lacrime, sgranati, la bocca spalancata, e tremava per tutto il corpo.
Era piccolo, poteva avere tre anni, sicuramente non più di quattro.
Si chinò per parlargli guardandolo in viso, e gli chiese cosa avesse.
Immediatamente il piccolo si attaccò al suo collo con le braccine e iniziò a singhiozzare forte, in un pianto disperato ma liberatorio.
Luca lo prese in braccio, e con dolcezza gli chiese cosa avesse, cosa fosse successo.
Andò a una fontanella poco distante dalla scuola, mise una mano sotto il getto dell'acqua per togliere le lacrime e lavare il viso del piccolo.
Poi le unì a coppa dove raccolse l'acqua per farlo bere e calmare così tutto quel pianto.
Il bambino si calmò un po' e tra gli ultimi singulti disse che aveva perso la sua mamma.
Luca non seppe spiegare a se stesso -tantomeno agli altri- quando, in seguito, gli chiesero con insistenza cosa gli fosse successo.
Cosa avesse modificato tanto il suo comportamento, quel modo tenacemente restio a uscire da quell'angolo così rassicurante, ritenuto da tutti ormai per sempre "suo".
Ma la disperazione di quel bimbo tanto più piccolo di lui gli entrò "dentro", come un vento che tutto travolge e spazza via, e cambia, e investe, e trasforma per sempre.
Sentì che la paura di quell'esserino era più importante e più giusta della sua.
Sì girò guardandosi intorno, a destra e a sinistra.
Con il bambino attaccato al collo iniziò a camminare, fermandosi dietro gli angoli, vicino l'edicola dei giornali, dentro i negozi, mentre a quella creaturina diceva parole tranquillizzanti, con voce serena, e calma: le stesse parole che tante volte erano state rivolte a lui.
Finalmente, ritornando verso la scuola, vide una giovane donna che a sua volta piangeva disperata: era la mamma che cercava il suo bimbo.
Lasciò andare il bambino che appena visto la mamma iniziava a scalciare per essere messo in terra e correrle incontro.
Poi andò verso la signora che, con il bambino stretto tra le braccia -non senza averlo prima rimproverato per essere sfuggito al suo controllo- gli corse incontro per abbracciarlo, dopo averlo ringraziato mille volte.
Luca si accorse di essersi dimenticato della mamma, la sua, quella che stava aspettando, del nervosismo che aveva provato nell'attesa, di quella paura di sempre per ogni imprevisto, per il "non conosciuto".
Vide la mamma che lo stava cercando, che appena lo vide lo strinse a sé, che si scusò di essere arrivata tardi, giustificandosi per averlo fatto attendere, già angosciata per la reazione del ragazzino ... e invece no.
No, Luca era felice come non era mai stato, come non si era mai sentito nella vita.
Raccontò tutto alla madre.
Tutto ciò che gli era accaduto.
Le voleva parlare di quella incredibile sensazione di libertà che sentiva nascergli dentro, determinata e forte come il germoglio di una gemma che taglia la corteccia del tronco per uscire finalmente alla luce.
E al mondo.
Come se la porta di una gabbia d'acciaio si fosse spalancata, aprendolo finalmente alla vita.
Ora quello strano "vuoto", quella insopportabile paura del non conosciuto non avrebbe più bussato alla porta della sua anima.
Non avrebbe più sentito, né atteso con il fiato sospeso quel "tock tock".
"La paura bussò alla porta e il coraggio andò ad aprire".
Era proprio vero, proprio così: come diceva da sempre la sua mamma.
"Strizza" , alla fine, era svanito: come certe nuvole che in una bella giornata di sole sostano davanti a lui, si fermano, e lo coprono oscurandone la luce.
Ma se una folata di vento improvvisa le sposta ... bè, allora quella luce illumina di nuovo il cielo, e la giornata di ognuno.

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