Disturbo narcisistico di personalità - Storia di un ragazzo che non accettava rifiuti


Se qualcuno avesse dovuto chiedere quale era il peggior difetto di "Smorfia", quale la sua maggiore caratteristica, avrebbe sentito da tutti la stessa risposta: "l'arroganza".

Era questa che gli aveva procurato quel soprannome, Smorfia appunto.
Perché quando rispondeva - anche a chi si rivolgeva a lui con un tono gentile - lo faceva sempre piegando le labbra, un po' all'ingiù ma verso sinistra, in una smorfia di superiorità, mista a disprezzo per l'altro.
Quasi come se - rispondendo - facesse una grande concessione a chi gli rivolgeva la parola, o una domanda.
Nessuno sapeva il suo vero nome, o forse era talmente adatto a lui quel soprannome, che era normale per tutti chiamarlo così, come se non ci fosse niente di altrettanto perfetto per descrivere quel suo modo di porsi.
Era estremamente difficile stabilire un "contatto" con lui, iniziare un dialogo che potesse proseguire in un incontro/confronto che poi non si trasformasse in uno scontro.
Essergli amici insomma.
Questo perché non dava "spazio" a nessuno.
Competitivo anche nell'azione più semplice, nell'argomento più tranquillo e banale, nel "raccontarsi" più amichevole, perché lui era sempre "PIÙ": più degli altri, anzi, più di chiunque altro.
LUI: il più bravo, il più preparato, il più bello, il più intelligente, il più affascinante, il più raffinato ... "il migliore" insomma, come amava definirsi sempre senza il minimo senso di modestia, tantomeno di obbiettività.
Non che non fosse attraente, e probabilmente non era neppure uno stupido se avesse dato all'altro la possibilità di rapportarsi con lui senza quella diffidenza che ispirava.
Ma quel suo atteggiamento era come uno scudo invisibile che lo isolava, una barriera tra sé e gli altri: perché nessuno ha voglia di farsi ferire, neppure di rischiare.
Ci voleva molta pazienza e "leggerezza" per andare d'accordo con lui, per andare - così - oltre al suo atteggiamento. Alcuni ci provavano, ma poi desistevano di fronte a tanta sfrontatezza.
Il paesino dove viveva era popolato da non tanti abitanti, e questo faceva sì che tutti - o quasi- si conoscessero.
Così - più o meno tutti - avevano avuto personalmente a che fare con la sua scarsa empatia, o ne erano venuti a conoscenza.
Ma Smorfia non era certo turbato da questo, per lui era solo una conferma in più di quanto fosse invidiato da tutti per la sua superiorità.
Un giorno, nel villaggio arrivò un nuovo abitante - anzi - è più giusto usare il termine al femminile, perché si trattava di una splendida fanciulla dai capelli di un bel castano dorato, lunghi fin quasi alla vita e ricchi di morbidi ricci.
Gli occhi grandi, anch'essi castani, erano illuminati da pagliuzze dorate, e lunghe ciglia ricurve facevano da cornice.
L'incarnato era delicato, chiaro, lievemente rosato sulle gote.
Le labbra ben disegnate e carnose erano naturalmente rosse.
Il fisico armonioso dal seno alto, la vita stretta, i fianchi sottili, le gambe lunghe e snelle, completavano tanta bellezza.
Quando Smorfia la vide per la prima volta il suo pensiero immediato fu:
"...deve essere mia. Io solo sono alla sua altezza in questo paese di miserabili. Sarà sicuramente mia!"
Non vi ho detto il nome del piccolo paese: Pietra Dura, perchè si trovava ai piedi di una montagna rocciosa, e di fronte, sorgeva un bosco rigoglioso di fitti alberi verdi, dove il profumo di resina e di fiori selvatici riempiva di benessere i polmoni di chi respirava quel bosco.
A Pietra Dura tutti lavoravano con grande volontà e operosità: c'erano boscaioli, falegnami, contadini, osti, artigiani, cuochi.
Chi tagliava la legna, chi con la legna costruiva poi tavoli e sedie per le casette degli abitanti, chi seminava per poi raccogliere il grano, chi raccoglieva l'uva che poi pigiava per ottenere il vino, chi preparava golose marmellate con i frutti di bosco, fragole, e certe grosse e succose more nascoste tra cespugli di rovo.
E le locandiere impegnate alla preparazione di pasti frugali semplici e saporiti, come zuppe fumanti e cosciotti di agnello cotti sulla brace del fuoco scoppiettante di grandi camini.
In mezzo a tanta operosità l'unico che non faceva nulla di utile, se non migliorare sempre la propria immagine, e attentissimo a non procurarsi calli alle mani, era Smorfia.
Diceva di vivere di rendita.
In realtà si barcamenava con l'eredità esigua che gli avevano lasciato i genitori, ma che lui definiva "patrimonio".
Un giorno, dalla finestra, vide passare lungo un viottolo la nuova arrivata, con al braccio un cestello di vimini per fare la spesa.
Immediatamente, e solo dopo essersi riavviato per bene i capelli, uscì di corsa per fermare la ragazza.
Aveva indosso uno dei suoi abiti migliori, e dalla sua persona il profumo di cui si era sparso abbondantemente pizzicava le narici.
"Olà meravigliosa creatura, so che siete nuova di questo villaggio, ma non preoccupatevi: vi faccio io da Cicerone! Qual è di grazia il vostro nome?" disse affiancandola.
A Ginevra -questo era il nome della giovane- quell'invadenza non piacque per niente, e continuando a camminare con passo spedito, non voltò neppure il capo verso chi l'aveva apostrofata con tanta presunzione.
Questo non intimidì certo Smorfia, anzi, l'atteggiamento della ragazza non fece che aumentare la sua fastidiosa invadenza.
"Ma non sapete chi sono io?!
È evidente che siete nuova di questo luogo, o avreste già sentito parlare di me, conosciuto il mio nome e la mia fama!"
A queste parole Ginevra si girò verso quel giovane così inopportuno e -con espressione dura ed estremamente infastidita- rispose:
"No, non vi conosco e non ho intenzione di fare la vostra conoscenza, però credo di avere capito chi siete!
Siete quella persona che tutti chiamano Smorfia, e l'ho capito proprio da quell'espressione sprezzante che avete dipinta sul volto, dall'arroganza del vostro approcciarvi, dalla mancanza di rispetto e di umiltà che la vostra insistenza rivela. Fatemi il favore di allontanarvi signore, e di lasciarmi in pace!"
Tale fu lo stupore di Smorfia che ammutolì e si fermò.
Ma rapido come il pensiero lo stupore si trasformò presto in rabbia, e la rabbia in assoluta determinazione nell'avere la giovane solo per sé.
Ma Ginevra era una fanciulla tanto bella quanto forte, determinata, e orgogliosa.
Non le piaceva quella persona.
Non le piaceva quella prepotenza, quell' ostinazione che non teneva in alcun conto i desideri e le esigenze altrui.
Passò molto tempo, e le modalità di Smorfia e di Ginevra rimanevano le stesse: lui in quella sua insistenza che si era trasformata in ossessione, lei in quella volontà di non lasciare la più piccola confidenza che potesse trasformarsi, nell'altro, in speranza.
L'assoluta convinzione del giovane di conquistare la ragazza iniziava a mostrare lievi crepe: eppure era impensabile per lui il dubbio di non essere altrettanto desiderato!
La sola idea di un rifiuto era una ferita nel suo essere che gli procurava un dolore quasi fisico: non poteva e non voleva rassegnarsi!
Iniziò a passare notti insonni alla perenne ricerca di trovare una soluzione, un appiglio, una strategia convincente per farla crollare, perché in realtà "Lui" sapeva che era tutto un trucco, che in realtà la fanciulla voleva solo tenerlo sulle spine per farsi desiderare sempre di più, che in realtà -lei- era innamorata quanto lui: anzi, perfino di più.
Ma non era così: Ginevra non sopportava proprio Smorfia, tantomeno la sua presuntuosa arroganza, quell' insopportabile egocentrismo.
Passò perfino alle minacce il giovane, senza ottenere altro che una maggiore chiusura da parte di lei.
Non dormì più.
Non mangiò più.
Iniziò a dimagrire, gli occhi rossi e cupi per le tante notti bianche, il viso scarno, le spalle curve per il peso di quel rifiuto rabbioso per lui inaccettabile.
Smorfia non aveva mai pensato che ci sono modi diversi per conquistare qualcuno.
Che esiste il rispetto nell'avvicinarsi agli altri senza tracotanza, ma un briciolo di umiltà, di gentilezza, perfino di quel po' di timidezza che suscita simpatia.
Che esiste quell' empatia che nasce dal cuore, da un sorriso, da un gesto sincero.
Che l'egoismo e la troppa superbia non portano da nessuna parte, se non ad allontanare gli altri.
Che nessuno è il centro del mondo.
Così una notte alcuni abitanti del villaggio videro una figura di uomo allontanarsi per un sentiero impervio verso la montagna rocciosa: camminava con passo incerto, con sé solo un piccolo bastone ricavato da un ramo d'albero con il quale sostenere il suo passo.
E lo videro sparire nella notte senza stelle.
Qualcuno era certo di avere riconosciuto in quella figura lontana, simile a un'ombra, il ragazzo.
Nessuno lo aveva visto chiaramente e con certezza, ma dopo quella notte Smorfia sparì. Di lui nessuna traccia.
E nel paesino di Pietra Dura nessuno lo vide mai più.

INTERPRETAZIONE

In questa fiaba incontriamo la storia di un ragazzo soprannominato "Smorfia".
Se state leggendo questo post immagino che abbiate già letto anche la fiaba, quindi non ritornerò sulla storia che spero sia chiara ed efficace per comprendere le dinamiche e i comportamenti del protagonista e del suo problema: un disturbo narcisistico di personalità.
I sintomi di chi è affetto da questa patologia sono piuttosto specifici: senso esagerato di importanza e di talenti che si è convinti di possedere, oltre un bisogno quasi ossessivo di essere ammirati in maniera assoluta e incondizionata.
E' la descrizione a inizio fiaba del comportamento di Smorfia, non vi sembra?
Questi soggetti hanno una distorsione esagerata di sè, una forte autostima spesso priva di fondamento, un senso di superiorità che non ha contatto con la realtà del proprio essere, e dell'effettivo valore della loro persona.
Per questo motivo - per rinforzare il loro senso di superiorità - spesso si legano a persone speciali svalutando gli altri.
Ricordate il pensiero di smorfia appena vede arrivare nel suo piccolo paese la bellissima fanciulla di nome Ginevra?
- "...deve essere solo mia. Io solo sono alla sua altezza in questo paese di miserabili. Sarà sicuramente mia!".
Non è minimamente sfiorato dal dubbio di un rifiuto, talmente sicuro com'è di possedere ogni qualità.
Queste fantasie di unicità appartengono ai narcisisti come Smorfia: anche lui pensa di dovere essere ammirato per la grande intelligenza, la bellezza, e di vivere un grande amore.
Unirsi a persone per qualche motivo straordinarie (come è Ginevra per la sua bellezza) servono per aumentare la loro autostima.
Questo disturbo provoca inevitabilmente nel soggetto notevole sofferenza per la differenza spesso enorme tra la percezione che ha di sè e quella che hanno gli altri, tutti coloro che non riscontrano - nella realtà dei fatti - la motivazione di un senso di superiorità così esagerato.
Nella fiaba il rifiuto secco, assoluto, senza possibilità di soluzione, inaspettato come una nevicata nel deserto del Sahara, alla fine lo ammutolisce e annienta.
I soggetti con questo disturbo infatti sono molto vulnerabili alle critiche e alla negazione da parte degli altri che li fanno sentire sconfitti.
Spesso rispondono con quel modo sprezzante che usano verso chi non condivide l'ammirazione che ha di sè, oppure possono evitare le situazioni in cui rischiano di fallire.
Solitamente i sintomi hanno inizio in gioventù entro la prima età adulta.
Ultimamente, i numerosissimi femminicidi praticati da chi non ha accettato la decisione di una donna di mettere fine a un rapporto amoroso, ci dà occasione di verificare quanto questa dinamica faccia parte di un soggetto affetto da questo disturbo di personalità.
Nella fiaba ho preferito dare un finale diverso, dove Smorfia - il giovane rifiutato dalla bella Ginevra - dopo tanta ostinata insistenza alternata a rabbia e incredulità, si richiude nella sua ottusa sofferenza, si tormenta e si sfinisce per l'assenza di nutrimento e di sonno, fino a che una notte qualcuno - nel paese di Pietra Dura - lo vede allontanarsi in una notte senza stelle per non fare mai più ritorno nel piccolo villaggio.

E' un disturbo di non facile soluzione, dove i tipi di trattamento possibili oltre la psicoterapia psicodinamica e la terapia cognitivo-comportamentale, può essere di aiuto la psicoterapia incentrata su transfert che si focalizza sull'interazione tra terapeuta e paziente.

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