Interpretazione della fiaba di Eva
Vediamo di analizzare i "simboli chiave" della fiaba di Eva:
1- Il Sole;
2- Cappello Magico;
3- Gli Alberi
Il Sole, o meglio il percorso da fare per raggiungerlo.
Ricordiamo con che parole Eva inizia il racconto della sua vita:
"Sono cresciuta nella paura. Ho passato gli anni della mia infanzia tra l'ansia e l'incertezza".
Questo da quando è nata fino all'età di otto anni, momento in cui i suoi genitori si sono finalmente divisi.
Dei suoi primi anni di crescita, di formazione, il ricordo più vivo sono le innumerevoli volte in cui è stato necessario l'intervento dei carabinieri per placare l'ira del padre. Sono i litigi, le urla, le parolacce, le botte subite da tutte e tre (mamma, sorella, Eva).
Il lunghissimo, impossibile, infinitamente distante cammino verso il sole è sia il desiderio di mettere la distanza più "folle" da quella situazione di sofferenza, sia il desiderio ancora più estremizzato di un cammino verso la luce, il calore, verso quella felicità a lei da sempre negata.
Il percorso verso il sole - infine - è anche quello della malattia che illude Anna/Eva nella ricerca di una ingannevole felicità lungo una ancora più ingannevole strada.
Il Cappello Magico.
Il Cappello Magico è "l'oggetto simbolo" sotto cui si cela l'anoressia.
Ricordiamo, ancora una volta, le parole scritte da Eva quando parla della malattia:
"Avevo una grinta enorme, una rabbia dentro che mi faceva fare tutto quello che mi prefiggevo. Durante la mia giornata il pensiero più ricorrente era il cibo, o meglio: il cibo di cui NON mi sarei nutrita."
E ancora:
"Non dovevo cedere alla gola per fare festa insieme agli altri...io resistevo, poichè dovevo continuare ad essere più forte, sopra le righe."
Proprio così.
Ho incontrato un numero enorme di giovani pazienti in quegli anni trascorsi in ospedale, e in seguito, nel privato, ma in tutte ho riscontrato - in maniera indifferenziata - quel senso di forza e di potere che usurpava il posto al vero stato d'animo: la rabbia.
Fare indossare al proprio disagio e alla propria sofferenza l'armatura della forza e del coraggio, per loro simile a quello dei cavalieri di Re Artù.
Questo senso di forza e di potere viene ben rappresentato dal Cappello Magico che - nella fiaba - Anna incontra nel suo cammino. Lo infila nella testa e..."puff", tutto diventa possibile.
Incontra un bruco che piange perchè vuole diventare una splendida farfalla, e immediatamente il Cappello - dietro richiesta di Anna - esaudisce il desiderio.
Poi è la volta del viandante assetato e spossato, e grazie al Cappello, Anna trova dentro la sua sacca una borraccia piena di acqua per dissetarlo.
Quando però il percorso verso il sole diventa troppo faticoso, lungo, irraggiungibile e Anna chiede aiuto al suo bel Cappello Magico...niente, non succede niente!
Perchè la malattia è questo: una pericolosa, subdola, infida, spesso mortale illusione di potere, che si rivela essere solo un enorme inganno, proprio come il Magico Cappello che magico non era.
Gli Alberi.
Quando interpretammo insieme la fiaba, Eva mi spiegò che gli alberi eravamo noi - medici e psicologi - quando giungevamo nella camerata durante il giro delle visite.
Infatti, essendo in diversi, ci mettevamo necessariamente "in cerchio" attorno al letto. Ed è vero: eravamo sorridenti.
Seguendo il racconto della fiaba, ritroviamo l'analogia con Anna/Eva.
Riprendendo esattamente le parole scritte da lei:
"Si avvicinarono tutti, e sfoderando grandi sorrisi tutti insieme quasi a prenderla in giro le dissero: lo sai qual è la soluzione al tuo cruccio? NON c'èèèè, non potremo dirtelo MAI!"
Anna se ne voleva andare pensando che ridessero di lei, che neppure gli alberi l'avrebbero capita, che era tutto inutile.
Così come Eva - se leggete il diario del suo ricovero - agli inizi lotta con il desiderio di mollare tutto ancora una volta e andarsene.
Non voleva parlare Eva, non ce la faceva a parlare dei suoi "lati bui" a sconosciuti, anche se eravamo lì per lei.
Di quei giorni e di quei momenti bui scrive:
"Non ero io a parlare nè ad agire: era l'anoressia, era una bugia che mi muoveva come una marionetta. E nel momento in cui emergeva l'Eva buona che voleva avere la meglio, erano conflitti grossi e crisi di pianto e di rabbia a non finire".
L'Albero più anziano, l'Albero Saggio, era il primario del reparto - allora il Professor Emilio Franzoni - che Eva aveva sempre stimato.
E' lui l'Albero più anziano, il più saggio, che fa capire alla bambina che incontra - stanca e stremata - nel cammino per arrivare al sole, che il sole... "è bello sì, ma ci si deve limitare a guardarlo e sognarlo, ma mai a toccarlo, per il semplice fatto che poi ti brucia. Perchè il sole che cerchi, tu ce l'hai dentro. Trova il tuo sole, ognuno ha il suo. Hai tanta fantasia, usala".
Eva mi consegnò la sua fiaba dentro la quale c'era tutto: lei, la sua voglia di allontanarsi da casa in cerca del sole, di quel calore e di quella felicità mai provata. E alla fine della fiaba Anna/Eva riflette sulle parole degli alberi:
"l'Albero Saggio e tutti gli altri hanno ragione, da ora in poi devo cercare il MIO sole".
Si gira, torna indietro e prende la strada verso casa e all'affetto dei suoi cari.
Conclusioni.
Ecco, io credo che parlare di se stessa e della sua malattia in maniera totalmente inconsapevole - attraverso una fiaba - sia stata davvero una sorta di "bacchetta magica" per Eva, tanto per rimanere nell'ambito del fiabesco.
Nessuna forzatura, nè nell'interpretazione, nè nell'indurla ad alcuna suggestione da parte mia. Eva ha scritto da sola la fiaba come mi aveva richiesto. Me la consegnò un po' emozionata, una volta finita. Io l'ho letta - ovviamente - prima per conto mio quando, conoscendo il suo vissuto, ho cercato - trovandole - tante analogie, ho lasciato a lei il compito di dare la sua interpretazione attraverso domande precise che mi ero preparata, e ricevendo risposte altrettanto precise da parte di Eva.
Questa fiaba scritta da lei e interpretata insieme, ma sempre dietro a sue riflessioni, è stato un lavoro importante che le ha fatto capire tante cose.
L'inizio di un cammino non verso il sole ma dentro se stessa, e verso la Vita.
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