Racconti sulla paura - Palla di Ghiaccio

 

"Palla di Ghiaccio" era un pupazzo di neve.

Lo avevano costruito 3 ragazzine dopo una grande, abbondantissima nevicata.
Ma andiamo per gradi, e un po' per volta vi racconterò.
Quella notte non aveva mai smesso di nevicare.
Nel buio, i fiocchi candidi, larghi e lievi, parevano ali di farfalla.
Dalla serranda della finestra, non completamente abbassata, Stella poteva vederli scendere -e proprio come farfalle bianche- danzavano con grazia impetuosa nell'aria.
Non riusciva a dormire quella sera, così si alzò piano dal letto, attenta a non fare rumore per non svegliare i genitori che dormivano nella camera accanto, e ancora più attenta a non svegliare la sorellina che dormiva nel letto vicino al suo.
Sì avvicinò alla finestra a piedi nudi, tirando su -piano piano- la cinghia per sollevare la serranda, e guardare meglio.
La faccia e il naso schiacciati contro il vetro gelido della finestra, gli occhi dilatati per attraversare meglio il buio.
La neve che ora cadeva sempre più fitta, stava già formando una coltre sempre più spessa, soffice e ancora intatta a imbiancare ogni cosa, ogni strada, ogni tetto, ogni lampione che -in quello strano chiarore- creava attorno un alone di luce, simile a quella che nella sua fantasia aveva sempre immaginato circondasse le fate e tutto ciò che riteneva magico.
Perché lei credeva assolutamente alla Magia!
Certissima che ci fosse una dimensione parallela a quella reale, a un soffio da quella terra che tutti gli esseri umani abitavano.
La dimensione parallela era invece occupata dalla Terra di Mezzo: lì abitavano esseri magici come gnomi e folletti, fate e streghe, maghi buoni e maghi malvagi, cavalieri coraggiosi e spiriti maligni ... e ancora principesse da salvare, cavalli alati, draghi immensi e crudeli ma quasi sempre un po' stupidi, e per questo facili da uccidere.
Insomma, la stessa dimensione che aveva mille volte letto durante la sua infanzia, alla quale ancora credeva malgrado i suoi 15 anni, e -non aveva dubbi- avrebbe creduto per sempre crescendo.
C'era solo un confine impalpabile da attraversare, ma bisognava essere pronti ad attraversarlo e non sbagliare nel sottovalutarlo.
Sapeva che gli altri della sua età l'avrebbero presa per matta se avesse confidato la sua certezza.
Una volta ci aveva provato, ma l'espressione tra il divertito e l'ironico dei suoi amici l'aveva subito bloccata: non voleva essere presa in giro da chi non capiva.
E gli adulti poi...meglio tacere!
Ma in fondo non le importava della incredulità altrui: erano solo esseri senza occhi nella mente e nel cuore, senza più quella capacità che molti -se non quasi tutti- perdono crescendo.
Lei no.
No: lei vedeva con gli stessi occhi e lo stesso cuore di quando era bambina.
Sentì dei passi lievi dietro di sé: Luna, la sorellina, nel frattempo si era svegliata.
Corse da Stella: voleva vedere anche lei la neve che danzava e piroettava nell'aria notturna.
Stella, per evitare che Luna piagnucolasse svegliando così i genitori, la prese in braccio.
E tutte e due, con la fronte appoggiata contro il vetro, gli occhi incantati, la bocca socchiusa dallo stupore di quell'istante, rimasero per un po' dentro quel silenzio, raggomitolate in esso come in un bozzolo.
Disse a Luna che bisognava tornare subito a dormire, perché voleva svegliarsi presto per andare nel giardino vicino casa, ormai quasi nascosto dalla neve già alta, e costruire il più bel pupazzo di neve mai visto al mondo.
"Voglio farlo così "vivo" da regalargli un'anima!" disse.
Luna iniziò subito a chiedere con voce lamentosa che voleva la portasse con lei, e Stella -per evitare discussioni- le disse di sì, di andare subito a dormire per alzarsi presto.
La mattina le due sorelle si svegliarono quasi all'unisono, piene di energia e di entusiasmo all'idea di realizzare ciò che avevano in progetto.
Sì vestirono con pantaloni pesanti, giacconi, guanti impermeabili, e -soprattutto- stivali robusti, alti fino al ginocchio.
Avvisarono la mamma che sarebbero andate a giocare nel giardino vicino, e uscirono di corsa prima di avere un diniego.
Nello scendere le scale incontrarono Lia, la ragazzina che abitava al piano di sotto, che accolse con gioia l'invito di unirsi a loro per costruire il pupazzo.
Prima di uscire, Lia prese da casa un cappello a cilindro, fatto di cartone di un bel rosso argentato, e una piccola sciarpa di organza ugualmente rossa.
Poi una bella carota per dare un naso al pupazzo e alcuni sassolini per farne gli occhi e la bocca.
Stella invece aveva preso con sé un lungo ramo di agrifoglio che aveva conservato dopo il Natale recente, non sapeva perché ma adorava i rami di agrifoglio con le loro strane foglie e i bei frutti rossi.
I giardini erano un incanto: la neve aveva coperto ogni cosa sotto la sua coltre, rivestendo il suolo e ogni panchina di un mantello quasi abbagliante nel suo candore intatto, ancora privo di qualunque orma.
Davvero la Magia era intorno a loro in quel mattino: tutto poteva realizzarsi e accadere!
Iniziarono a raccogliere la neve in un grande mucchio, tutta quella che riuscirono ad accumulare con le loro giovani forze, quella strana frenesia che le muoveva, le gote rosse, gli occhi ridenti, le bocche aperte in risate e gridolini, a incitarsi a vicenda.
Mano a mano che le due sorelle davano forma a quella che ora era una grande palla di neve gelata per farne il corpo, Lia stava lavorando a una più piccola per farne la testa.
Il corpo era venuto davvero bene: grande, bello rotondo, un po' ciccione.
Così come la testa era una palla rotonda ma molto più piccola, che applicarono sopra il corpo unendola bene ad esso.
Strofinarono poi accuratamente su ogni protuberanza con le mani protette dai guanti, con costanza, impegno, fino a che tutto non fu assolutamente liscio e privo di imperfezioni.
Usarono due sassolini neri per fare gli occhi e misero in fila quelli più piccoli per dare forma a un grande sorriso.
Infine infilarono la carota, di un bell'arancione vivace, in mezzo al volto.
Posarono poi il rosso cilindro argentato sulla testa, e la sciarpina leggera e altrettanto rossa lì, dove la testa si univa al corpo.
Le ragazzine guardarono prendendo distanza dal loro capolavoro per vederlo meglio da lontano e ... era davvero fantastico!
Stella si ricordò del ramo di agrifoglio, e lo infilò con grande attenzione al lato del corpo, come se il pupazzo lo tenesse sotto il braccio.
La gioia delle 3 fanciulle era incontenibile:
"Lo chiameremo Palla di Ghiaccio!" disse Stella.
E quel nome fu accolto da tutte: lo guardarono ancora una volta, orgogliose della loro opera e corsero a casa prima che la mamma si preoccupasse troppo.
Ma ... ecco ... nel loro entusiasmo non si erano accorte della vera differenza che c'era tra Palla di Ghiaccio e qualunque altro pupazzo di neve che c'era sulla terra: "lui" aveva un'anima!
Sarebbe bastato guardare in quelle due pietruzze nere che erano diventate i suoi occhi per capirlo.
Com'è possibile direte voi?
Bè...ricordate cosa caratterizzava Stella, cosa la differenziava dalle sue coetanee, dagli adulti, e da tutte gli esseri umani che non erano più bambini piccoli che crescendo avevano perduto quella capacità di credere?
Lei invece credeva ancora e assolutamente nella Magia!
In quella dimensione fiabesca e invisibile che sapeva essere parallela al mondo reale.
Era stata questa sua convinzione assoluta, priva di dubbi, questa fiducia che tutto fosse possibile a entrare -come uno spirito lieve- dentro Palla di Ghiaccio fornendogli un cuore capace di "sentire".
Sentire la gioia come il dolore.
Il coraggio come la paura.
Il calore dentro di sé, anche se il suo corpo era fatto di gelida neve.
Tutti quelli che passavano di lì, che fossero adulti o bambini, si fermavano ad ammirarlo, e tutti dicevano che non avevano mai visto un pupazzo di neve così ben fatto, così curato nei particolari.
Lui si pavoneggiava, orgoglioso di tanta ammirazione, di tanti complimenti.
Ma...ecco, aveva sentito dire che il suo più grande nemico era il sole, e il calore che esso elargiva.
Non capiva bene il motivo, forse lo intuiva da quella inquietudine che avvertiva, ma non sapeva esattamente cosa significasse, che tipo di pericolo potesse rappresentare per lui.
Iniziava ad avvertire in sé un sentimento strano, sgradevole, insidioso, invaderlo con violenta insistenza giorno dopo giorno.
Che gli toglieva quella felicità che lo aveva riempito alla sua "nascita".
Si chiamava PAURA quell'orribile stato d'animo, ma lui non lo sapeva.
Una mattina si svegliò con una strana sensazione che non riusciva a spiegarsi.
Ma presto capì: il freddo si era addolcito, l'aria era meno sferzante, la luce diversa: meno abbagliante ma più chiara, un po' dorata: era spuntata l'alba di un pallido sole.
Palla di Ghiaccio si sentiva diverso, un po' meno forte, meno compatto, meno "solido", se così si può dire.
Percepì che la sua paura stava salendo insieme al sole che nasceva, e rafforzava il suo calore.
Il giorno avanzava, e il sole acquistava calore.
Si sentiva strano come non mai, debole, il lungo ramo di agrifoglio si era sfilato, ed era caduto a terra.
Il bel cilindro rosso si era spostato, scivolando un po' di lato.
Perfino gli occhi sentiva meno saldi sul viso.
La paura ora lo invadeva come un vento che tutto travolge, spazza via, devasta.
Le gocce di sudore erano in tutto il suo corpo ora, il bel cilindro era scivolato a terra, affondando nella neve, così le piccole pietre del suo sorriso gioioso si stavano staccando una a una.
Con tutta la sua forza di volontà cercava di trattenere le due pietre scure che formavano i suoi occhi: voleva continuare a vedere, godere di ogni albero, ogni pezzo di cielo, ma soprattutto del sorriso felice di ogni bambino che lo guardava.
Capì di avere sbagliato tutto nel suo breve tempo di vita.
Che quella paura di qualcosa che ancora non era avvenuto, che temeva ma non conosceva, gli aveva tolto la gioia di ciò che stava vivendo.
Che la paura impedisce e inquina la felicità del momento.
Che non è la morte che deve fare paura, ma la vita con l'idea continua della morte.
Pensò alle ragazzine che lo avevano costruito con tanto entusiasmo, e questo pensiero lo pervase di una gioia immensa.
Così forte e violenta questa gioia, che riuscì a sconfiggere la paura, e l'ultima sua emozione fu di infinita gratitudine per avere regalato felicità agli altri.
La mattina dopo il sole era già alto, e l'aria decisamente più tiepida che accarezzava la pelle era il segnale che la primavera era alle porte.
Per terra, dove prima c'era Palla di Ghiaccio, rimaneva un bel cappello di cartone color rosso argento, una piccola sciarpa di organza, e un lungo ramo di agrifoglio dalle bacche più secche e meno rosse.

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